• #1 (senza titolo)

amina narimi

~ ..con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

amina narimi

Archivi Mensili: Maggio 2014

Basta un chiarore, un capriolo quasi sulla cima

28 mercoledì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

capriolo, casa, chiarore, cima, profumo, Ra Ma Da Sa


Per inizi mi allontano, carne a carne,
dove il fondo designa la sua vetta-
sepolta nella terra, dove tace la semente
nei giorni della mia passione
-nel suo grembo, ricerco le sorgenti,
figlie dell’altezza nel seno delle valli,
un filo d’acqua appena
nel rintocco sottile che accompagna
con lo sguardo umido dei fiori
che non s’impone mai, che non si scopre
dalle nevi, dai ghiacciai ai cristalli delle nubi

 

mi fermo qui, seduta
come all’occhio di un veggente,
che accetta di essere visto
nella dolcezza del riposo che mi assorbe
nel balbettio. L’evocazione sola
di un simbolo sul ponte mentre piove,
oscilla fino in cielo coi colori ,
nel solenne risveglio delle pietre.

Attraverso la bellezza e lo spirito cammina
verso l’invisibile. ti mormoro di sì
nella valle più fertile e nascosta
per udire la tua voce
conosco appena i rudimenti della lingua
lo scintillio nella movenza, i lampi provvisori.

E tutto trema come a un’immersione
nessuna traccia dei tuoi passi
un rifugio o il tempo della vita,
se il cuore batte, se c’è gioia, non lo so,
posso soltanto viverlo, lassù
non so nemmeno di pregare,
come un fiore il suo profumo,
dove il vuoto partorisce nel segreto
i salmi del silenzio e le salite
tutto diventa trasparente,
dove l’anima riceve un figlio, più che averlo,
seguendo un ordine armonioso
toccando lieve il suolo
senza osare calpestare mai la cima,
il centro della vergine, la purezza
del miele della rupe e l’olio,
che non trattiene
neppure lo sporco più sottile
di un bambino con un solo giorno al mondo
nella Corona del paese

è una preghiera in cammino,
e lei in cima, sepolta dagli angeli,
sola, nella stessa solitudine del Solo,
toccando con le ossa che Tu Sei ,
le mani si immergono di cenere,
che il vento spazza senza sosta
sul muschio delle pietre, sull’erba alta
nei cimiteri trascurati, della Grande Morte
infine, poco a poco, e in umiltà,
nell’ampiezza del silenzio
io ti offro un canto
che va oltre l’eco,
un canto privo di parole,
nella memoria e nel cuore
mentre dondolano gli alberi come danzatori
o santi dello splendore vestiti d’edera

Faccio comunione con le foglie,
non ho altro, nel suo giorno amato,
con mia madre, che m’inonda sui vestiti
senza mai staccare le sue mani-
lo spazio di un lampo e gli occhi
brillano del vuoto che nasconde
i raggi dentro la montagna

Come alla confluenza di due mari,
è una calma marea che mi trattiene
dove l’onda non si ritira più
dove non comincia a risalire,
da non poter tornare con le mie forze
indietro
mi tendo con le mani aperte
in attesa di un dono, un piccolissimo commiato,
richiudendo poi le dita sopra il vuoto:

basta un chiarore, un capriolo quasi in cima,
dove le anime non muoiono e si sposano,
in questo nulla di qualcosa di creato,
alla fine dei miei occhi, mi riporta a casa,
col profumo dei suoi fiori, già compiuta.

amina-la cerva

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Il filo lungo del silenzio

26 lunedì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

dono, filo, immagini, mare, silenzio, suono


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All’ultima parola della sera

22 giovedì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Quando la guardo non so respirare
Mi basta il tremore di un velo
Qualcosa che giace oltre le mani
Il dolore e la gioia, quando succhi la ferita
Dal taglio del prepuzio, con la luce.

 

Omozigoti madidi d’amore
Sussultano al contatto della pelle
I nostri occhi pieni di saliva
Tra le cosce tese, dov’è più pallida la vita,
Nell’orgasmo di passione, di mangiare Dio,
Entra una carezza, una per volta,
Fino al mormorio-
La più fiumana delle madri
Che va indietro anche nel tempo-

È tutto qui, al centro, che salva la parola
Dove anche i rami bassi son felici
Il più amore di tutti gli amori che ti arriva
Come una felce leggerissima sul viso
poi risale, con un fiore tra le labbra,
Una cosa amata, sospesa tra due vite,
Dolcissime e feroci. Se si ascolta,
Ti ripete che in un figlio brucia
Quel divino, che si apre come una ferita
Anche la gioia. La mia voce di battesimo,
E di fango, si alimenta di uno sguardo
In un paesaggio, di una creatura luminosa
Che forse non sa niente
Dove il dolore trova la sua pace.

Mi arrendo al grembo misterioso
Dentro il campo, per dirti che sorrido
Che mi curo con l’erba medica, e le foglie
Amare delle bacche, e la tua poesia.
Tutto resta nel mio corpo
Che sparge la certezza del tuo essere
Invisibile, come il fiore della felce

 

Vengo a te,
Con il sangue degli occhi, il più dolce,
Tra le cose della nostra carne,
Quando mi accompagni sulle labbra
All’ultima parola della sera,
Sorella, luce occulta, e sposa
Dell’ombra più vera del reale,
Spandendo la tua sostanza bianca
Nella sua corona radiosa,
Nell’unione,
Piena di sale prezioso,
Purissima.

non so chi sei che amo

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Chiudendo al seno le persiane

21 mercoledì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

Alba, Aurora, immagine, occhi, persiane, seno, tapparelle


In tutte quelle cose c’eri tu, dentro le case,

come sul petto dei devoti, proprio al centro,

mentre salivo con il corpo la montagna,

sulle spalle scintillanti per la pioggia

si schiudevano tutte le persiane,

nel sentire che davvero piove

quando scende la Madonna su Bologna,

e vi penetra un’immagine:

 

-con chi vedi la prima luce, tu,

con cosa spingi il buio, fuori dal balcone,

con gli occhi soli o tutto il corpo insieme?-

 

Alzale piano, le tapparelle, amore mio,

sono gli occhi delle case e benedetto il giorno

sia, nel movimento impercettibile che amo,

di quella leggerezza nelle celle,

mentre sul bosco, io, spingo fuori il seno

con le braccia unite alle persiane.

 

E’ la storia che risale dalle spalle

dell’aurora e prima ancora all’alba

annunciando qualchecosa che s’insinua

lentamente

nel chiarore ineludibile al risveglio

un balbettio appena un’ombra della luce

che produce un segno. Fra tutte le fessure,

è da lì che passa la bellezza, e gira,

nel momento privilegiato del respiro,

anche se è una cosa di un istante, come noi,

e prima che compaia sul tremore delle rose,

quel sorriso, la linea dell’aurora

che scaglia tutto il buio in fondo ai vasi.

 

L’alba assiste al sogno, e tu lo sai-

prima ombra della luce-

penetrando negli occhi senza lotta

sembra offrirsi, lasciando solo un mormorio

dove germoglia come un seme sconosciuto

che forse, solo a notte, senti palpitare,

quando per un voto si produce nel silenzio

come il frutto della nostra profezia,

celebrando le sue nozze con il sole-

e una lingua impregnata di colore

di canti nascosti, nella sua radice,

nella voce primordiale- fa l’aurora..

come l’erba e i tulipani del giardino,

quando cercano la luce, nella loro debolezza

come a un’acqua unica si volgono

 

Se col petto unito alle mie braccia,

se spingo piano le persiane,

mentre alzi lentamente gli occhi-

da lontano- confondendo l’alto con il basso

veniamo insieme col mattino, poco a poco,

abituandolo a parlare, come l’alba con l’aurora,

ci congiungeremo nell’annuncio della luce,

nell’invincibile unità dell’infinito

 

saranno parole sacre le nostre voci,

sui balconi, e un cuore la tua mano

che scava un vuoto tra le spalle e il viso

colmandolo di fiori. Sopra i piedi nudi,

quando prendo il buio, di ogni sera

non ho più paura,

dove sono il tuo cuore e le tue mani,

se, chiudendo al seno le persiane,

ora guardano i tuoi occhi, dentro.

Persiane

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Namastè

19 lunedì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

≈ 7 commenti

Tag

Namastè


La lucentezza di un girasole

narra una storia d’argento,

i suoi occhi un bracciale di fiori.

Alle spalle uno splendore.

È lì che giungo. Namastè

e m’inchino al corpo che conosco,

al contatto che apre con la pelle

per sapere se mi sono mai sposata,

ti mostro il palmo della mano

aperta, e vuota

 

è nella bocca il latte che hai versato

attraverso le pupille, in vasi d’oro,

come inserirsi in un canto centrale

a un’altra voce e controtempo,

ciascuno all’altra rivelandosi

nella zona della lingua. Sono sposa

 

quando seduta sulla tavola ti cerco

e batto coi talloni la spalliera di una sedia,

contando coi respiri il tuo arrivo. Già lo sai.

Con un cucchiaio chiamo il sole

a salire piano per entrare ancora

 

Son talmente nuda di colori

e non esiste oblio più grande

di ritirarsi in te, in questo centro calmo,

saturo d’aurora,

dall’intimo che sale nel silenzio..

 

e l’occhio ricomincia all’infinito

a vedere il dramma di energia,

lo spazio che si offre all’immaginazione

di un mondo aperto e chiuso da un ventaglio,

nell’istante di assenza del vedere,

la cecità del battito di ciglia,

per la costruzione della più segreta luce

 

il lenzuolo con le impronte dello scambio

è una tovaglia chiara di cotone,

che stendiamo con fatica nella casa,

contiene vento il muro e un fuoco insieme,

che si accende nel reciproco parlarsi.

 

nel mio mondo piccolo- di stare tra gli spazi

da e con il corpo, che a suo modo invoca

un continuo basso- là, dove cantano gli amici,

nasce Dio, dove credere è ascoltare

che cantando si crede. Nella notte più radiante,

luogo per luogo,

partendo dall’intatto per curare il rovinato

dei beni amati, immergo l’ossatura della schiena

del torace dei nervi delle vene, tutto,

nella tinozza d’acqua con l’impasto di cotone

e giro di continuo con le braccia,

fino al foglio più compatto

disteso poi a giorno su un panno morbido di lana

e uno dopo l’altro salgo sopra con i piedi

finchè tutta l’acqua lasci l’umido soltanto

ad asciugare sullo stenditoio, per incidere a calore

il simbolo dell’8, con un cartiglio, i tuoi ricordi,

pieni di preghiera e compassione. Non è sogno

la cura di noi stessi che saliamo in cerca d’aria

di un tempo primo della vita.

 

è un’ora comune per tutti, e per lei

era l’ora delle ombre degli alberi,

che oggi quasi non si distinguono da te,

esponendosi all’amore verticale, l’assoluto,

che ti viene a trovare nella stanza, quando credi

di stendere le sue camicie fuori al sole

dove il vento fa l’eterno. allora scendo a quelle madri,

alle sorgenti, secondo il comandare del mistero,

quando Lei mi passa via leggera…e tu rimani

annuncio dell’illuminazione senza luce,

finchè l’aurora si riversa ancora e lascia

nell’incanto del giardino impresso il simbolo

dove si compie quella storia, nella rosa dei destini,

verso sud, dove l’Akhal-Tekè, nei suoi deserti,

ignora ancora il celeste della neve

 

severa madre che disseta il ventre, bianca

tra i segni dell’inchiostro e dove fu una rosa,

dall’altra parte del silenzio, io mi genero, parlandoti,

nonostante l’ombra, e una memoria delle mani,

di una pelle che va sopra i vestiti

riconosco la chiave antica, di una strada,

posti dove andare più di prima,

e muri per i polsi, a riprendere il respiro,

case che fanno credere alla luce

chiusa tra le dighe. Me lo dicevi

sicura, dentro la tua vita. io ti credo

Namastè Yurta (1)

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Nelle camere nuziali dei miei occhi

16 venerdì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Senza categoria

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Mi raggiungi ognivolta,
nel segreto di Dio,
col fiato lento di una luce partorita
sui capelli neri fatti lunghi; 
questa è la radice che riparo
con pazienza, l’anello sulla zampa 
bagnato dalla pioggia, trasparente 
 
il mio sogno è tutto qui, 
lo spazio da riempire
più profondo delle cose
della tua ombra gravida,
durante la mia cena
leggera, di bestie, di libri, di alberi parlanti
e otto  ninive d’acqua sopra il comodino,
mentre mi preparo per la notte
e prego, nell’orecchio all’elefante, 
in quello debole, di lana,
facendo un solco piccolo col dito
un gesto chiaro sopra gli occhi,
come un segno d’acqua in chiesa
 
la stessa linfa di un fiore che si chiude
nell’armonia di una casa quando a sera,
sigillata dalle mani più amorose,
in sé divine, come una freccia va
e viene in fondo all’arco-
a rigenerarsi dentro al nulla
con la respirazione  degli uccelli
riuniti  nel fuoco dell’eros divorante,
che non divora l’occhio e la sorgente-
fino a lui, al di sopra di tutti gli amanti,
e nel vivo delle viscere pianta un riso,
aprendo il grembo nel segreto della rosa.
 
Mio amante chiaro sulla moltitudine,
dove poco a poco si muore in tutti i sensi
per vivere in te,  come pronti a fuggire
dal corpo scosso, dalle fondamenta
che si aprono via via che questa stretta
fa il profondo. E  l’Oriente ci risponde.
 
E’ il tuo Nome che posso udire ora
Posso godere,
senza attendere l’ultimo giorno
anche morire,
guarita,  nella tua castità
portando degli aromi
fino al termine di me stessa,
la pietra del nome.  E l’eros più sottile
è tutto qui, vertiginosamente bello,
nelle camere nuziali dei miei occhi
non ho bisogno di toccarlo,
è il silenzio che divengo,
il  bacio profondo di un angelo

image

Fotografia: Alpi Marittime
Di Luigi Maria Corsanico Nastasi

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Senhal

14 mercoledì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Anche il più lontano dei volti

parla di una madre. Corpo a corpo

avevi un segno sulle labbra come un fiore

che ti faceva respirare

anche sotto tanta neve

lassù al pianoro

quando il fieno è già al secondo taglio

come ora

il mio sguardo si è fermato,

dove la quercia si carica dell’ombra

dove non riesce più a germogliare,

nella carne pallida, ed è ugualmente felice

prima di sparire. Ti vedo danzare

di nuovo, come un corallo rossovivo

riprendere dall’inizio della morte

in questo spazio aperto mai finito

rispondo alla chiamata

nel gesto più semplice, dei singhiozzi,

scorrono oltre il sale le mie mani

e con il tuo spirito mi tocco:

fiorisci, e respiro più a lungo

sospiri, ed io lo stesso suono luminoso

che ti ha portato via

disarmata e nuda

credo nel credere degli alberi, nel canto

più antico della pazienza, del polline

quando ricomincia, fecondo e vago,

per condividere la gioia. Sei rimasta

piantata per terra soltanto/ morta/

con rispetto, come un’opera umana

del passato, emetti suoni

incidi ancora sulla luce

i passaggi dei sogni e della pioggia

con un odore di muschio/ vivi/

fai ancora meridiane . sui fianchi dell’altura

 

10 agosto 2096mi sono costituita al tagliaboschi

:sono io le garze appese ai rami, tra le ossa

l’accudisco, mentre regge il giorno con la fiaccola

e mi offre un fascio di papaveri, di spighe,

dal suo tronco corinzio. Come un rosone

orienta la mia preghiera della notte

dalla finestra. Tra il viso di Bruno e i suoi arnesi

si è fatto come il vuoto

di una contemplazione montanara,

e di un pastore . E’ un atto di pietà l’assolvermi :

“che la quercia riposi dentro il suolo

per onorare i morti” Senza lutto,

ne coglie la bellezza. E tutto è ordinato

per restare. con il timbro e il suono del silenzio

nella gola dice sì , poi, con una mano alzata

sul pianoro, avverte la mutazione della luce

e dove l’aria profila il movimento

concede il suo Senhal: rimane tua

Manuela Carrano- alberi su garza

Opera: Manuela Carrano- Alberi su garza-

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Sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi

11 domenica Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

≈ 4 commenti

Tag

alberi, bambini, buio, Ederlezi, ginocchia, luoghi, Monte Athos, perle


Con un ginocchio scoperto vengo a te,
Lorenzo Mullon- Mt.1500sposa a sè stante, dalla voce,

prima che nella parola. Puoi sentire,
passando dall’acqua più verde al sangue,
con un patto interiore, gli sponsali:
si scambiano il respiro, prima del senso,
un salto nella gestazione
di un codice smarrito ed immutabile
-nella lingua madre che dice il sesso delle cose :
nient’altro che fiori rossi, i nostri globuli
senza nucleo, nelle sue profondità invernali.

Ti accolgo nel segreto del midollo osseo,
pieno di occhi, tutt’intorno, come l’anello di Saturno
che contiene il solebuono
Sono le traiettorie per accompagnarti dentro
che brillano,
con la spartizione naturale dell’istinto,
dove sanno i sapori le parole,
con un ginocchio a terra. Nella postura dell’orante
dalla quercia al leccio, al pioppo bianco,
sali con gli occhi tutto il verde delle ossa,
delle immagini che vengono prima del possesso,
nel candore di un vagito naturale
è la catarsi,
l’appartenenza nuda a una poesia. Dimmi :
che ricordi ti sfilavano davanti, da lassù,
quando ti sei girata nel ventre per la luce?

Dico gioia. Per ogni gesto minimo dei rami
aderiva al corpo,
con le sue ginocchia coronate,
aspirando al cielo da lontano,
dove termina la strada
fin dai primi tempi dell’amore,
con la bellezza lucente della terra
sotto i piedi. è un’ederlezi, per cantare,
appartenendo solo al lampo
accordatore di respiri, tesi
su tutto ciò che vive solo
della primavera nelle ossa.

C’è una macchia di purezza 10 agosto 290
nella stanza armonica,
se mi avvicino il suo profilo è quello
di un bambino e una sorgente sui capelli
che smette di morire intanto mostra
le fontanelle aperte come linee di una mano
sulla testa dove un tempo fu la notte
per gonfiare la sete al destino delle rose
rampicanti. Sull’albero del pane, come una volta,
a chiunque darà di noi la ricordanza-
il suono sulla cima a scegliere le pere, il loro nome,
lo splendore- tra le dita
della prima metà dell’esistenza,
quando solo la carne tremava sui cavalli
barattando con nuova salita per guardare
l’anima, quel punto così in alto,
dove la terra si muove e batte gli occhi
tutta quella luce sopra i fianchi.

Ogni goccia provoca ancora sentimenti,
uno spazio vuoto che s’inclina poi s’innalza
nei buchi a doppio cieco dentro gli alberi,
come perle sotto i vestiti, nelle tuniche di seta delle donne
quando assorbono la vita a chi le indossa,
con una forza sconosciuta sopra il seno. Dentro là,
si trovano gli amanti, il tempio che cela meraviglie,
le nozze verdi misteriose, e i geni;

sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi
che ogni giorno attendono la luce,
e la ricevano, con l’intero corpo trasparente,
la covano in sé, con la seconda vista. Amano,
inondati di vita, silenziosamente religiosi,
nell’inventare una luna, nella pace
di un cielo profondo, che si distende
lentamente, lentamente nel chiarore
scaturendo una voce e un dorso lucido
come mani nell’acqua, che carezzano
sulle ginocchia, congiungendole,
come due piccoli Monti Athos
in mezzo ai loro rami, in fiore

10 agosto 788

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Sulla tavola di cera dell’ascolto

08 giovedì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Seduta come una montagnaMonte Fuji- hokusai

 

ti offro il mio silenzio

con una mano sola, e una preghiera,

avvoltolata nella manica,

dritta nella luce, senza peso

 

con lo sguardo azzurro io ti cerco

nella nostra forma mobile di eternità,

inalando spazi la prateria dell’anima

e un nervo scoperto ai confini dell’umano

che santifica la perdita in candore

 

Sul tetto del cedro del Libano,

a guardia dell’eredità,

vi era appena una voce, e lo sguardo solo

percepiva dal basso le parole,

dalla selce primordiale,

con tutto il buio sulla schiena

 

è un rumore bianco,

chiamato dall’infanzia

un posto in fondo al cuore,

dove tutto ha inizio

non c’è erba più erba dell’erba

scossa dal vento di un sogno

che attecchisce alla terra

 

 

monte-fuji e fiori

Tornerà dentro l’inverno con un fiore

sulla tavola di cera dell’ascolto

a mangiarsi la gioia trattenuta

alleggerendo il fiato fino all’inno

nel pane sostanziale

più prossimo a quel volto,

accogliendo sulla lingua le ossessioni

di piccoli dolori, di quadri che si bucano

negli angoli più esposti, pieni di pudore

 

La voce si congeda sul terriccio

cercando una tana per dormire

negli umori dell’anima, si addentra,

mettendo una parola accanto all’altra,

un’essenza di luce che l’aumenti,

che la tenga in vita-

dove la ferita è il solco

che attende per la semina,

premendo nella bocca i grani,

le tracce favolose-

per ritrovare la strada

in un’acqua più grande di noi,

per affacciarsi interi,

con i volti illuminati, e versi brevi

nell’ora più acuta che ci viene

addolcita

nell’esicasmo: “per te”

 

cerco di pregare

come prega una montagna

restando come in volo

nel fondo del respiro

mormorando a mezza voce

il canto delle rondini

nuovamente pari a stelle,

prima di noi, felici

Monte Fuji

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Usando il corpo all’alba come il sole

07 mercoledì Mag 2014

Posted by Amina Narimi in Senza categoria

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Manipoliamo le ossa come gusci svuotati
del loro profondo, generiamo la morte,
nel rigore del verbo. S’incontrano il cielo
e la terra nel corpo reale, compagno
dell’umido nostro incompiuto
 
accade in silenzio, ma in fondo a quel vuoto,
se solo ti sporgi, vibra una messa,
diffonde il suo profumo, per l’arrivo dello sposo,
si tiene sveglio, in questo il sacerdozio,
e carne viva,
sconvolgente per bellezza, vergine
della sua fecondità,
mano a mano che il pensiero cede il peso
all’anima. mi ha tenuta stretta
in un bianco leggerissimo
fino a smarrirmi l’eleganza persa in aria
dei gesti così piccoli, il movimento imprevedibile,
dietro il gioco dei colori, di una danzatrice di Dio
per entrare nell’erba

Gli occhi aperti dalla grazia
illuminavano altrove ogni passaggio
solo per pura illusione immobile,
con la superficie ondulata di un sorriso
disegnando a terra con un nastro
il suo rifiuto di corrompersi,
e la sapienza di tornare,
nel grembo morbido e infantile,
per danzare intorno al vuoto
esercitandosi sul nulla
del barlume di verità 

qualcuno si sposta con lo sguardo, afferra un soffio
e la bocca si regala in un respiro,
mostrando un mondo. La vita di una donna
è passata di qui, nella propria povertà,
alta poco più di un metro, sulle cose

non posso  più scordare
lo spazio vertiginoso dell’eterno-
lo convoca l’amore il segno chiaro
che continua ad affiorare, quel contatto,
incessante perfino nella quiete,
che accorda volta a volta il movimento
e difende i nostri visi nelle mani,
quando vacillano le gambe di paura
e le braccia, nella sua dolcezza
-usando il corpo all’alba come il sole
quando avvolge le cose con la pelle
per accogliere ciò che accade. Allora

dico sì alla nudità, fittamente umana,
primo luogo dell’io che si dissolve,
con un bacio.  vorrei sentirti eco-
rimettendo  dentro gli alberi il respiro,
come stazione di una piccola passione,
-che lega creatura a creatura,
stanza d’amore e tenerezza. Insieme

faremo luce come corpi di bambini
che si sanno eterni,
tornando al prato che ci aspetta,
con l’orecchio accostato al cielo
nelle pozze. Di tanto volo
non importano i nomi o le durate,
che venga il canto, importa, fino al centro
così- con gli occhi nudi di una scimmia,
puntati sulle stelle per raggiungere quei luoghi

irraggiungibili stringo uguali le tue mani
mentre dormi- con musiche di carne
e al crescere dei seni,
viene ancora avanti una favola.

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Sono una donna libera. Nel mio blog farete un viaggio lungo e profondo nei pensieri della mente del cuore e dell anima.

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