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C’è sempre qualche luce se l’aspetti,
se ti metti inginocchiato sei più grande
se risplende un pianto nudo, un solo verso
fessura l’infinito e rifiorisce
la speranza. è un libro fatto d’aria
in cui le note della voce fanno tana
illuminando il gran silenzio mentre sale
lucida, e stordita, una poesia
usando la ferita per radice
ritorna dentro gli occhi la marea,
con la folgorazione, lenta, lungo l’acqua-
le fila delle trombe insieme ai corni
i legni che si alzano alle arpe
e, come in piedi, gli archi, in cerimonia,
si uniscono alle onde- dove batte
il nome che ti manca, cristallino.
Siamo foglie che s’involano, sorelle
nell’ovunque e immensa comunione
di nitore dello sguardo, come un lampo
che spalanca gli occhi dentro il sonno-
mentre prima li chiudeva per paura-
un altro fiore rischiara nei tormenti
e fa risorgere parole tra i suoi veli
salvando l’indicibile e chi ami
Così mi abiti, e, ogni sera, io ti sento
quando mi passi il pane, con le mani,
la sillaba mancante è l’architrave
che congiunge l’invisibile a chi vedi,
come l’albero fiorito nella neve
la cecità è questa fronte, bianca,
una coltre, intorno al cuore, muta,
è il sole che attraversa la mia nebbia
sottile come un’ostia, e, come un segno
d’acqua in chiesa, scivolata tra le labbra
dove la luce non arriva
abbiamo ancora una possibilità.