In quel vuoto della pelle è stato il vento
di lettere inclinate sulle labbra,
con la cenere negli occhi che conosci.
un lembo raro, in fondo al tuo giardino,
e la polvere dei fiori, già raccolti.
Nel canale di biancore immisurabile
niente è troppo piccolo, se ami.
Nulla so di più del tuo calore,
se non che per la prima volta
sono sola. E ti ringrazio
di questa nuova vita, senza tempo,
dello splendore che avverto oscuramente
nel tuo nome antico. Poi mi perdo,
fedele all’invisibile ritorno,
piccola abbastanza non ancora
da sostenere tutta la tua luce.
Ho inginocchiato gli occhi al tuo vedere
la pagina piegata nel mio libro,
mentre pregavi ai fianchi di una barca,
tra i nostri passi appena disegnati
come lucidi animali nella notte,
per codici sottili di linguaggi,
nell’urgenza di ascoltare, dentro il soffio,
le tue mani ancora colme di frammenti,
quando prendono la vita, risvegliati,
nell’invisibile arteria della grazia.
Tra la ruota, il cerchio, e la sua croce
in questo canto puoi sentire come corro,
se mi muovo sulla curva della luce
di un vento largo, che si erge tra l’anello
e il bianco inizio di una liturgia.
Tutto si compie all’altezza delle braccia,
nella baia, tra il seno e le tue spalle,
con le dita innamorate, e voce a voce
ci scambiamo una magia di primavera.
Eppure io sono felice e tu distante-
nel silenzio che fluisce reso grande
in un cadere che ci tiene accanto-
e se una mano, inavvertita, fra le membra,
si posa a terra, come fosse un volo,
nel suo pregare, e per tutta la lunghezza,
non vive nulla che la possa sollevare.
Come un frutto quando è maturo, e cade,
in lei è andato ogni calore, radunato,
come brezze nei cespugli, o nell’estate
il grande freddo ai ripostigli della neve,
accumulando tempo, in piccole orazioni.
Ora è nel ventre un coro d’acque in piena
dove la vita aumenta nei polmoni,
nel continuo movimento di un miracolo,
è il capo di un bambino nella luce,
pieno di grazia simile a un vapore,
quando stringe fra le mani come sogni
i pezzetti di una mela luminosa-
ripiegati come l’ll foglio di quel libro,
nella pagina più amata- ricongiunta.
Una strada sottile quanta calma nel petto che rischiara dove i nomi hanno mesi bellissimi, che crescono seguendo la via lattea
tra le ali e gli alberi dell’anima.
Sono petali bagnati di visione,
con la parola aperta delle cime,
dove dentro vi corre quel bambino,
la sua mano aperta, con la rosa,
le sue gambe, che spingono nell’aria
lo scatto del respiro, nel salire,
in cerca dell’uscita, tra le cose.
E non dura più di un lampo
nel morire
la tragedia della giovane paura,
tra il bosco ed il suo viso.
Poi la musica soltanto, la più viva,
a quell’ora lo incorona, e va alla gioia,
oltre i margini segnati, in un istante
toccando, col duro della terra,
il ricongiungersi al fantastico dei passi.
Col moto delle lucciole sui piedi,
è un viaggio che mi porti,
in un gesto, trattenuto, come sacro,
qualcosa tra le mani, che si bagna,
di ritorno, con la tua saliva lenta,
per toccare, dove non si vede,
il polso quieto di ciò che sta sul fondo-
nel ruotare delle ossa, con la forza
che annida tutto un cielo dentro al seno,
dove cresce la tua pianta. Come mondo
mi hai offerto un largo d’aria,
nel buio lucido e ospitale dove noi
è veramente nostra sposa,
ora che sa come cadere
ai piedi del suo piccolo padrone,
nel profondo bambino, dove andiamo
ripetendo, ad occhi chiusi, sono insieme.
Viene incontro, in cerchi che si allargano
per radici silenziose, come calda,
la nostra mano, nell’intimo,
cercata,
tremolante di luce ci rivela
bagnati di terra, a lungo, e da vicino,
con le braccia larghe di un mare benedetto,
di essere ricevuti, come isole.
L’amore non può chiudersi,
come farebbe invece una ferita.
La morte piccola,
che ha preso l’anno vecchio,
è il nostro frutto,
in cui ha avuto amore,
e quella grande,
che ci portiamo dentro,
è la sua luce,
che va bevendo il succo. Nel velo più bello al suo dolore
con un soffio al cuore io ti canto
una parola senza riparo-
presa viva-
nel gorgo delle forze
il più antico, all’indietro,
e sacro. Al separato
occorre avere detto sì,
un sì assoluto, per poterlo amare,
dove si trova il quarzo che ricorda
di rimanere sprofondati ed innalzarsi come neve,
in attesa del credo che Noi è.
Più grande di ogni angelo,
tutto parla, tutto è animato,
nella porziuncola di pace,
dove beve silenzioso al nostro ventre, come una parola che hai compreso.
Ti scrivo, da una cella silenziosa,
senza quasi un alito di vento,
con un piccolo dolore,
nell’amore. Mi smarrisco.
Nel movimento delle mani
è già domenica, ed il suo grazie,
nella notte antica del tuo nome,
come ali, nell’aprirsi. E poi riposa,
dentro il ventre colmo di mio figlio.
E’ là che siamo entrate,
tra le tue profonde e assorte mani.
Ci hai raccolto.
Lasciamo che tutto accada ora,
come fosse un fuoco grande tra le cose
e noi. Coperti dalle ombre,
noi, la terra, farci culla. Anima mia,
tutto è già dentro, e tu, lo senti
come vuole ricadere l’anno nuovo,
come un frutto, come casa tua.
Guarda come ci raggiunge,
come si intreccia nelle mani
che germogliano del suo futuro,
e il ritorno cresce in lui
verso la gioia. Viene,
caldo del nostro sangue,
come una gemma.
Domani andrò dai miei parenti, dai miei migliori amici, al bosco vecchio, dal pino argentato, dove comincia il ghiaietto e in cima, alla radura del tauro, dalle giovani acacie, con i fiori del cuore tra i capelli e l’agave, non ancora fiorito alle ginocchia.
Farò dono della nostra poesia ai geni, tra i fiori d’agrimonia e l’erba renna. Con la linfa tra le braccia, da lontano il monaco del tempio vecchio mi sentirà arrivare a piccoli passi, con un uovo d’amaranto sulle mani e un acero al suo fianco, dal limite della pineta le tre stelle, e, da dietro, il nevaio. Per le betulle ho preparato un dono speciale con le garze d’acqua colorate, le farò sottili, sottilissime, tra le loro piccole fessure, saranno come occhi per la loro pelle dolce.
Più in fondo ancora, agli uccelli del vento dirò delle nostri voci.
Poi tutti insieme scenderemo giù al laghetto con le nocciole dei nove alberi del Boyne, millemila rondini e tartarughe, per figure, con gli scarabei tra i più lucenti al mondo.
Gli albicocchi dall’Armenia porteranno Kusturica e Bregovic, per cantare l’ederlezi, succhiando caprifogli, versando acqua celestiale di alchimilla, e lungo il sentiero dei castagni, tra i ciliegi, correremo con i cervi tra l’edera rossa e gli scoiattoli.
Piano piano, nel pomeriggio, saliremo al Presepe,
dalle vecchie cicogne, sostenute dolcemente in volo da un acanto e giovani faggi, pieni di gigli intrecciati come corone.
Anche le anime care sul leccio ci attenderanno, immortali. Non so
descriverti l’emozione dei mandorli, nudi, tra le mele cotogne di ogni anno, dirti del melograno, se farà ancora l’amore col nibbio, senza toccarlo, donandoci i chicchi più rossi, o di come l’upupa rinasce sempre di gioia, sopra la mirra, vedendoci sposi.
Ogni capodanno le capre passano di mano in mano il mirto ed ogni rametto fa un canto che sale per i mughetti fin su all’erba gatta, nel ricordo delle api benedette, in volo, sopra i nespoli.
Perfino il noce sorriderà, alle stazioni, quando l’ulivo, tendendoci
le mani, ci bacerà, o quando l’olmo, uno dei mille figli del sonno, fascerà con le ninive i nostri sogni.
Per tutto il tempo le ortiche danzeranno sulle punte, come fuoco, insieme all’orzo, e il papiro farà nell’aria le sue infiorescenze disegnando nel cielo come un vascello, un’arca di luce carica di farfalle, e di pervinca, in fondo alla sera, sopra il grande fiume.
Un platano, un platano che conosco bene, ci leggerà il destino in un sussurro, sotto la quercia che amo, offrendo rododendri ad ogni passante.
Tra il nostro vecchio vento, per ultimo, sotto il tiglio più lontano, seduto sulla panchina delle rose, ritroverò, meraviglioso,
di nuovo e ancora, Rainer,
i suoi fiori di felce negli occhi, avvolti con la verbena nell’uva, e otto sassetti .
Con un respiro indicherà l’abete più alto, dove far seme del dono,
fedele,
tra la neve e le rose, in forma di anello, riunito.
"Mi manca il riposo, la dolce spensieratezza che fa della vita uno specchio dove tutti gli oggetti si dipingono un istante e sul quale tutto scivola." Alfred De Musset
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When the green woods laugh with the voice of joy, And the dimpling stream runs laughing by; When the air does laugh with our merry wit, And the green hill laughs with the noise of it.
La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità. ( Albert Einstein )
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