Affonda dentro ogni volta le mani,
a toccare l’odore che bagna la pelle,
col cuore in sussulto, d’inchiostro
che morde in un verso, e si arrende,
poco prima dell’alba,
quando una linea divide
il resto dal cielo
annuso nell’aria come una bestia,
seguendo la cerva fino alla tana,
per ricordare la gioia
come sia iniziata a venire
in tutto piena a dare sapore,
a farsi di luce, dentro un grande silenzio,
il breve respiro, il primo passo per terra
nei fili di giovane erba
così mi appare il suo volto
quando l’amore si è fatto
già un albero alto,
non solo una greppia- aveva l’età
della vita, vibrante nell’aria
e radici fin dentro nel cielo,
dove l’acqua nasce di spinta
dal dolore dei sassi. Tutto canta
sui lembi di una stessa ferita
nella marcia misteriosa di una goccia
che scende con la sera nella gola
dei cervi. È un lamento da seguire,
respirando dai talloni
l’urina luminosa sulle foglie,
per la femmina lontana, all’alba-
per la stessa sete noi
attraversiamo il cielo,
seguendo gli antenati,
col filo di una musica che dopo
sará il vuoto e la fantastica bellezza
del sangue scintillante sulle foglie,
bianche. nei giardini della mente
un cammino interiore, le tue mani-
un ciclo d’acqua, di bestie ,
in un ultimo slancio,
lungo il sogno dei mangiatori di loto
in cerca di parole e creature
-nella casa della sera
come uccelli sacri,
quando tornano al nido
con germogli e semi,
luminosi di fibra, di preghiera,
cui m’affido…senza temere
l’impronta che mi sfiora al buio
è nella tua lingua che mi curo,
che metto in bocca il suono delle dita
e con gli stessi occhi trasparenti
ci bagniamo le ginocchia,
piegate insieme nella notte,
aprendo un frutto al seno
lo splendore del racconto
dove il Tuo fluire è cielo
che avanza tra gli alberi e invoca,
con il corpo di una goccia sola,
piena di canti, e folta del bosco,
la luna,
nella quiete vasta delle nostre mani.

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