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amina narimi

~ ..con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

amina narimi

Archivi Mensili: febbraio 2014

Ogni coppia è un angelo

26 mercoledì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Quando sei dentro un temporale e balbuziente
nell’orto sacro danzi  per guarire
lo strazio che ti viene
coi simboli che nascono da terra,
dalla memoria, versando latte chiaro
sull’erba medica, con la lingua nell’argilla
trasformando il fango in cibo
si riforma  il seme,
ogni volta che  perdiamo la parola,
e le cose crescono di gioia
sul ramo isolato della pena

Nel preesistente cerco casa
nella  danza del sognato, come sai,
la rugiada dentro gli occhi
altrimenti non sarebbe.

Non vedi come muta
la luce inginocchiata
sotto i nostri  piedi

s’innalza, e poi ricade
dove  indugiamo soli-

per godere dello iato
con le vocali nella gola
trasportate da un sangue gigantesco-
fino a non sentire più,
nel  suo torpore,
chi  cammina o prega.
Lì, dove fummo figli e soma della voce,
c’è un suono che non abbracci:
la femmina della tua lingua
in una lingua propria

 

Nel punto di rottura della perfezione
sta la parola Aiuto: l’arma del ricordo
è muoversi, spostarsi alla fine di un respiro,
in un luogo dove la notte passa
sfilando al corpo la luce più segreta
in noi

l’imene si volta  dentro un canto Intatto
ci scambia nudi col pensiero
diviene coppa come una montagna
ricevendo nel cerchio quella spada
che chiude  la testa con i  piedi
nell’altra grande nudità che ci oltrepassa

Tu ritornavi vergine con me
nel rito di divorare insieme la carcassa
del bue che ci nutriva, col nostro sangue,
le nostre fibre sazie infine
di sé persuase: adesso


ogni coppia è  un angelo

 e cammina sugli stessi rami

 in Altri cieli
Ascoltiamo raccolti quel respiro 
                                     vuoto con Vuoto 
nel gesto più  giovane  che abbiamo
offriamo all’infinito questo amore

ogni coppia è un angelo

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Alla fine degli occhi, la musica

23 domenica Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tenendo le ginocchia sempre a terra

domandavo  quale roccia o pozza d’acqua

ha un sogno e la distanza tra due luoghi

se puoi anche misurarla con il canto.

 

Ho mosso le dita una dopo l’altra

formando ai bordi del bagnato

una doppia fila di puntini

poi  ho cancellato con il palmo della mano

disegnando un cerchio con un trattino lungo

infine un buco,  dove siamo entrati

chiudendo gli occhi per vedere

le rotte delle migrazioni

dei sogni,  lungo la porta delle lingue,

le dita degli sposi che si bagnano.

 

Con l’orecchio in terra

avrei voluto portarti

la fine della neve, tenere per te,

dove il ruscello si muove ancora tutto,

le vibrazioni della lucentezza,

nel segreto dell’intimità ,che bagna

il creato, tra le gambe,

accadeva qualcosa, sotto  la pelle,

di imprendibile.

 

Non toccarlo con la bocca, con le dita,

ma col dentro della pancia, dai piedi in su,

e fino al cuore, fa come  il salmone

lasciando le uova  poco a poco,

cantando  nel silenzio di chi viene

senza muovere le labbra

 

è appena dicibile sul volto  lo stupore,

incide solchi corrispondenti ai suoni,

e vibra indietro, mettendoli  alla luce,

verso di noi, quasi chiedendo aiuto,

una vena di voce, e di ogni cosa viva.

 

Tutto lo spazio è cresciuto.

Non potrò mai dire

molto più di questo,

non è visibile

l’intensità dell’apparizione,

alla fine degli occhi, la musica .. 

Dove va a finire la neve

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Nel soffio più possibile leggero

21 venerdì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Nel soffio più possibile leggero
si schiude il mio ciliegio al boscovecchio,
nell’abbraccio circolare ritrovo noi.
Eppure  lui mi educa, nella parola senza voce,
a diverse dimensioni, la sua estensioneVera:
la pazienza  di ricoprirsi con la neve,
il pieghevole sfinimento  dell’estate-

e so con quanta cura
si volge alla corrente della luce,
l’andarsene  calmo, con la sera,
respirando dai talloni,
quando gli uccelli scenderanno a primavera,
per nidificare e riprodursi,
di come i rami sotto il loro peso
gravati  di nidi a centinaia
saranno pane, e soffice pietà

così è l’esercizio dell’amore-
spezzando il seme duro nella bocca,
delle mutazioni in atto. Annuso ancora
la tua poesia su queste tempie cariche
mentre intorno volano le piume
e sfioro con un dito la caduta
ascoltando la discesa lungo il corpo
di un dono aperto,  che esce dalle ossa,
col miracolo dei fiori
si bagna il cuore buio
di fratelli innamorati
fa luce ai i piedi quel che non si vede
E gli direi di amare un’altra volta
di coprirmi con i petali nell’aria

Si spalancherà  piena di vento
la gioia dei frutti tra le mani
lasciando cadere le ciliegie
con  quel  rossore intimo  sul viso
riempirà di vino le nostre bocche
nel soffio più possibile leggero
il vecchissimo ciliegio, e noi, di nuovo,
appena nati.

Le Mont-Blanc vu de Genolier par Charley Case

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Sulla fronte azzurra tenerissima

19 mercoledì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

acqua, Alef, asciutto, Bet, bocca, Fabienne Rivory, fiume, lingua, ma, madre, mi, Miryam, ostia, pane, sale, scintilla, scrittura, umido


-L’asciutto contiene l’umido
La roccia contiene l’acqua
L’Uomo nasconde in sé un Dio-

Sulla fronte azzurra del ceppo primitivo,

ti poso, col silenzio delle vesti,

il segreto del primo fiore, senza necessità

di capirlo, sull’assenza che ti sgorga dentro

al seme nudo delle fontanelle,

lo sguardo intatto, dove si uniscono le cose

l’ultima volta, alla fine dei sentieri,

i segni di un amore

nella bracciata profumata

ti consegno il fascio più maturo,

fiorito di fresco dal mio cuore

con le ore luminose, la corona

dove palpita la nascita

di una vita che si leva, col nutrimento sacro,

nella follia di una croce,

nella manducazione dell’invisibile.

Nessuno sa, nè l’argilla o la pietra,

che servono da segno, raccontano il mistero

del dono divino, un velo sollevato

scopre un altro velo. La Bet è posta,

nella casa aperta, sulle stele di Mesha

tutte le sorelle danzano

come pietre luminose
La scrittura è una luce nella notte

che ci salva,

verbo_crocifisso da semi nomadi,

che nel deserto grida il Nome suo, ciascuno

a divenire Lui . Nessuno potè sentire allora

la lingua umida nella tunica di pelle,

quando cogliemmo dei mattoni

come figli al posto delle pietre,

ognuno recante solo una scintilla

Padre dell’Uno, asciutti fino a Pasqua

quando bocca a bocca s’incise in alto

l’incontro delle grandi lettere,

con le piccole del basso. Fino al cielo

il traforo è compiuto, e ci tocchiamo

cantando il pane nella linguamadre

con il sale di Miryam, unendo il mī col mā,

il vento ci porta in bocca l’ostia,

fino all’acqua matriciale, che scintilla,

sulla fronte azzurra tenerissima,

dove nasconde in sè un Dio.

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Così tanto vivo

16 domenica Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Con i sogni nella carne,

come ceste per il pane.

Così tanto vivo

con occhi di parole

-privi del dolore occidentale-

l’affondo nella vita della verità,

sfiorando il corpo di un mare sepolto

una mano, dal fondo del tempo,

nell’ora più sottile del mattino

quando lo spessore della pelle

è troppo fine

per celare l’interno delle cose

–non tremare se la chiamo

solitudine

                            è solo un taglio nella luce

in cui si apre il mormorio della speranza

quando l’usignolo rischiara i fiori e in te

mi spingo nel paese di mia madre

con qualcosa in più e quest’altra me

che s’accontenta

dove il tuo spirito colma la mia passione

 

Dove si annidano gli occhi

così tanto vivo

tra il verde luminoso e l’infinito

fino alle radici della solitudine

per vedere la crisalide del tempio

arrivare limpida alla luce

Nel chiaro del bosco è un altro regno

che  l’anima dimora e custodisce

sognando verità

che ancora non sono vere

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Con gli occhi bendati

14 venerdì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Disegnavo un piccolo capanno
ogni sera un po’ più grande
finchè un giorno mi notasti, domandandomi per cosa
avevo tanta cura, se all’interno stava il vuoto

-Ho visto un cavallo libero nei prati
in cima a Montevenere,
non posso chiuderlo se non sa chi sono,
che gli voglio bene per come brilla al sole,
ma nel capanno c’è il pastone e la paglia fresca
Forse un giorno, se l’aspetto.. se gli aggiungo delle cose…-

Mia madre si commosse, e  come premio degli esami in terza media
riempì il capanno con Zahir, il primo nel disegno.

C’è tanto amore in questo andare indietro
a cogliere la bellezza cieca
da proiettare nell’invisibile presente
in ogni sillaba si alza ancora la Tua voce
di Maestro, e tu Blanchot dicevi della poesia:
che nasce nel movimento
in cui Orfeo perde Euridice.  Nel distacco
è l’infinito andare della scia d’argento
o quando la gioia di vivere non basta e scrivi

Con la lingua degli angeli
mi hai insegnato a morire
per tornare nella mastella di lino con le braccia
girando  nell’acqua tiepida  la crusca
coi germogli di soia,  a rimanere,
quando in mezzo alle gambe stringevo altre zampe
ferrando i cavalli , come allacciare le scarpe
a un bambino. vedendo l’intoccabile:
l’anguilla che fa morire, dentro la pancia dei cavalli,
premendo  il viso, e curare il respiro, se cattivo ,
cercando le sanguisuga, tra l’acqua più chiara,
da mettere al collo per vivere. Per poche ore
è così che Zahir  ritrovava il suo galoppo
col salasso più antico. Pitturavi nell’aria quel salto
volando  sui fianchi a Soraya, tirandola appena
verso di te. Mi guidavi come danzare
sopra la cima di  Montevenere, dal primoamore,
passando per Le Croci e sotto l’abetaia di Rossara
sdraiando le nostre schiene, come fossimo sull’acqua,
a ginocchia strette, con la passione di affidarsi,
entravamo nei boschi acquattati come bestie,
negli occhi delle mucche e poi giù, giù col baio chiaro,
con il fulvo sulla pelle umida del corpo
parlandoci senza bocca, col sudore morbido ai polpacci
e il suono dell’orgasmo tra le dita e le redini sottili,
accogliendo nella pancia la discesa,
l’alfabeto baciato degli zoccoli.

c’è un punto esatto- mi segnavi-  tra le orecchie
dei cavalli , piccoli movimenti impercettibili
che congiungono le punte dritte nella luce
formando un otto, solo lì, è dove ti alzi in verticale
e voli via leggero, risparmiando le salite

All’inizio dell’autunno mi hai bendato gli occhi
con una lana a fiori che pungeva
per dirti gli anni dei cavalli o dei dolori
con le mani carezzavo il naso, quei gradini come rughe
che vengono nel tempo, affondavo piano con le dita
sotto gli occhi, nei fossetti; passando poi tra i tendini
e i nodelli, imparavo  le fatiche, e le fessure prima della coda,
per la fame, immaginando la magrezza, dei cavalli nuovi
infine… mi chiedevi la prova che stordiva : del colore
strofinando il pelo, se aveva delle macchie, se grigio o come:
sapevo dalle setole i colori, dallo spessore, e la temperatura
svelava sopra i polsi con dolcezza
se le femmine avevano il calore. Era tutto come amare.

Se stringo forte gli occhi  sono al centro del cortile
ancora oggi mentre tu  mi vieni incontro
tenendo un cavallo per la corda poi due e tre
per scoprire il suono che marca  dentro il passo
tra di loro dove la zoppia, di chi, su quale fianco,
avanti o dietro. Alla fine dell’inverno
cavalcavo come cieca nel tondino
ed ero dentro  gli animali e dentro il bosco
quando tremavano col  manto a una pozzanghera,
o tendevano la schiena a un ramo basso.
Annusavo  il buio dei ragazzini ciechi,
che sarebbero arrivati  a primavera,
per vedere con gli occhi dei cavalli
la bellezza
fino  in fondo alla luce dell’estate

Sei stato dell’invisibile Maestro,
chi ha fatto i segni sulla strada  
per affidarsi al buio,
per tornare al  Vuoto del capanno
con il suono di ogni albero,
quando si piega,
indicandoti la via.

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Con una lingua tenera

11 martedì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

camino, canto, fuoco, legni, lingua, segreto, Simurgh


Viene dall’invisibile

incarnando la presenza delle voci

ogni volta che accendo il fuoco a sera

affonda il verbo nella legna

con la saliva, da buio a buio,

mostrando  lo spacco del sacro -la ferita,

il nome-  delle rose  nei  miei fiori,

sono la nostra anima

                                       là dentro,

nel camino acceso  in cui abita qualcosa,

perché cresca la luce. Piegando le ginocchia

mi accuccio dove viene il rosso

con la veste arrotolata fino al timo

scoprendo la macchia azzurra  sul mio fianco

scintilla nuda e disarmata –immutabile simurgh–

 

Con un piede dopo l’altro ascolto la corteccia da bruciare

le piste dei sogni attraverso gli anni

le pulsazioni di ogni tronco – ognuno canta per anelli

cigolando sotto i miei talloni- sotto le piante

sento gli uccelli volati via dai rami

le foglie rimaste sole

nel rettangolo vuoto del giardino. Mi tramando,

credendomi un albero,

Prego, senza una parola,

sono la stessa cosa. Nella pancia

i legni sono pronti

per rinascere dal fuoco

mi alzo scalza con tutto il corpo,

la riconciliazione nelle mani,

una per una. Odoriamo di pace

come quel giorno, nella sala di commiato,

non separandoti  mai da me stessa

 

Con una lingua tenera

in un bianco leggerissimo di cenere

il nostro esserci è un segreto

ognuna canta nel pensiero

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Immagine

Con le membrane lucide dei sogni

09 domenica Feb 2014

Tag

acquabuona, alberi, anima, cerva, Charley Case, Rimani, silenzio, sogni, Tomohiro Inaba


Tomohiro Inaba 2L’elegia ci fa trovare, al di là

dell’albero più ferito,

di Paesi e continenti, l’acquabuona,

una cascata di perle e di animali,

dove cercavo il mio menhir

sulla riva del laghetto azzurro.

Intatta immersa e protetta dall’acqua fresca

aveva gli occhi aperti come fosse viva

Ridarle vita con otto stagioni

fu l’unica cerimonia nel cuore dell’inverno

profondo, portare licheni per nutrirla

rimuovendo la brina dagli alberi.

Mi toccò i capelli.

Ti adoro per la dolcezza, per le mani

e così sia,

anche nel silenzio degli uccelli,

canta.

è un miracolo nudo la nostra creatura

le linee della mano tanti rami e

ad ogni dito il suo respiro fa gli anelli

un panno bianco, di cielo in cielo

nel canto d’emergenza coincide con i sensi,

a un poi, che calma, che trascina

la mia immagine nel Vuoto

dove trovo riparo. dove ti riveli

con il viso mentre mangi

mentre raccogli nascosta la mia mano

ti do un nome, allargo tutti i rami

per avere ancora suoni e somiglianza.

Nella danza fragile precipita il respiro

preme il cuore, dentro quella crepa,

la luce, per quel minimo d’azzurro,

ti è salita fino agli occhi dalla pozza

ho tolto le parole per amarti,

cerva di un solo fianco, nel silenzio,

venuta via dall’ombra.

è con l’acqua che ti fascio il viso, ora,

con le membrane lucide  dei sogni,

sei un canale di biancore

tra i rami fino al petto

il segno che racconta un corpo

porta  il tuo Nome adesso –Rimani–

nel respiro degli alberi,

l’impronta più Viva

tra tutte le voci

Anima di gioia

sul bianco del foglio-

senza grida.

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Pubblicato da Amina Narimi | Filed under Poesia

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Se dal polso tiri il filo

08 sabato Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

Cammino, filo, lontano, occhi, palloncino, polso


Il chiaro dell’occhio è proteso nel dono,

ciò che sussurra prima del fremito,

al movimento delle nostre mani.

Non spezza mai il filo l’accoglienza

cammina. cammina con la propria storia.

 

E il vento insiste nel domandare

perché come i bambini

basta toccare certi punti dell’aria

che s’incantano le dita

nel grande suono-

consegnando i pensieri

al vuoto che non soffre.

 

Nessun fiore raccolto nell’urna

sa dire alla voce il colore

più dolce,

calpestando la terra,

il viaggio oracolare dei nostri volti

nell’andare incontro al fresco del mattino

Domani

porta con sé lo spazio inviolato degli occhi,

.che inconsapevoli corrono.

nella misericordia di un’aurora,

colmando le pupille di presenze,

spose dei sogni, emozionate.

 

è così che faccio quando manchi, corro

con lo spago legato intorno al polso

e un palloncino sale e viene giù dal cielo

mentre pronuncio :- Lontano- e poi –Qui-

per farti comparire quando giro

sulla la strada quasi trasparente

rinasci di continuo. E ci guardiamo

scendere il cielo dalle mani

in un’altra terra come

 

è con te che sollevo gli occhi caldi

e sembrano tutte le nuvole

essere in coppia per sempre

quando tornano indietro

per  rinascere dall’acqua

pronunciando la stessa parola

– Qui – e poi– Lontano–

 

ci tocchiamo all’indietro

nello sguardo liquido dell’angelo

se dal polso tiri il filo

la terra stessa è un angelo

che ci mescola leggeri insieme al vento

come dopo l’amore

risponde al nostro sogno

entra nella radice, poi vola via

al centro della stanza azzurra

niente è più grande, penetrato ogni canto

                              da un’infinita distanza-

Avere ricordi non basta

 

palloncino

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Spugna di luce

04 martedì Feb 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Una stella come un’ostia

a capo chino si mantiene

o  in grumo di sale al mattino

viene a sciogliersi dal cielo

nel  lavoro invisibile dell’alba

che comincia a versare la sua luce

 

con la stessa fatica del riverbero

ho usato tutto il corpo per accogliere

quel che accade  nel  silenzio

avvolgendo le cose con la pelle

-quota di muscoli e fibra carnale-

da sola all’alba, ho visto la tua vita

nei miei sogni, il fresco pulito

in terra. spugna di luce

non smetterai di stare in me,

 

come davanti a troppa lontananza

sgorgano dagli occhi dalla bocca i luoghi

gli episodi dell’amore,

da ognuna delle specie di donna

che è ogni specie di donna,

brillando al vuoto bianco

la realtà più reale:

 

quel lungo grido d’amore

di feroce bellezza

così impudico nel dire

il loro immenso eterno e altrove

nell’aria intatta batte ancora

il ritmo della mente. col respiro

tra gli alberi cade il suo sigillo,

il cordone di cinta,

il bastone che tiene in mano.

spugna di luce

 

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Sono una donna libera. Nel mio blog farete un viaggio lungo e profondo nei pensieri della mente del cuore e dell anima.

Scritture

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DI SESTA E DI SETTIMA GRANDEZZA - Avvistamenti di poesia

a cura di Alfredo Rienzi

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