La casa respira, anima mia,
chiude gli occhi e ringrazia;
il suo palmo è chiaro
le sue linee profonde
al centro del corpo le lacrime hanno
un vestito azzurro
e i fiocchi di neve coronano i piedi
come fratelli di latte.
Conosci l’albera che ride con me
i bambini di luce che custodiscono gli angeli
e il ramo del vischio che porta in giro le gemme.
Più dolci della felicità
I tuoi riccioli neri rivestono ora
i bianchi misteri dei colli,
le pietre, le case, i nostri sassi,
le forme sante del pane;
tanti piccoli sentieri bianchi
che si intrecciano fitti per poi svanire
nei buchi amati dell’albera del noce,
dal letto di morte alla sua infanzia
resuscitando la bellezza delle madri
vissute secondo la carne,
in un alito,
nella forma chiusa di Adamo,
una tana da uccello.
Lì, dentro il tuo libro d’ore, farò Capodanno,
seguendo il vento lieve delle tue mani
educate a vicenda, all’amore,
guarderò a lungo ciò che mi feriva
delle tue ferite più profonde,
contando le ossa ad una ad una,
le parole che danno un grande freddo.
Pregherò per loro, stanotte- e fin d’ora
domando perdono
se chiamerò mio sposo ogni verso,
compagno e fratello, passando le dita
sull’inchiostro a migliaia di anni,
sul ragazzo luminoso che discende
verso il grande lago – a capo chino,
fin quando la bambina che contieni
colerà nella mia gola il nuovo anno,
con le mani del nostro saluto
e il più grande congedo, riuniti
come sappiamo accadere ogni giorno
fra il mattutino e un’Ave Maria.