Il vento cammina sopra la terra
sull’urna, il tuo volto, le nostre mani,
dal ramo innevato ai fiori di tiglio.
Un’Ederlezi, toccata dall’aria-
che era in me, prima degli occhi,
la cosa più intima e certa – salendo
ha percorso l’intero di ogni mio canto,
dal provenzale allo stabat del cuore,
dalla voce dell’anima fino alla pelle,
con un passo compreso tra la corsa e l’inchino.
Fra l’ultima luce e la porta di casa
è la tua mano intorno ai capelli
che scopre che sfiora che trova nel taglio
materna letizia e la pena più grande
confuse. Nell’arco alberato di gioia,
in un punto indistinto delle tue spalle,
ho nascosto le ossa del pianto più bello-
dove inizia invisibile un altro sentiero-
volevamo tacere,
_____________ tra l’origine e il cielo
del nostro viso
_____________ in entrambe le mani,
il respiro aperto e illuminato
dallo sguardo concorde
_________________ all’ultima stella.
L’odore dei frassini ha accompagnato
un uomo e una donna al loro congedo –
nella muta promessa di un semplice sogno
che ha nome antico di damascena-
e quello che credo, alle loro radici,
ora sta tutto innanzi a noi.