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Un velo di Ninive copre gli occhi
sulla strada della nostra samaria,
forzando il mio respiro nell’apnea,
nel frangere di sassi il grano nuovo
che ha diviso il sangue dei fratelli,
partorendo sale nero. Intorno al pozzo
con altri occhi, e altre mani lacerate,
mi fermo a ricordare il girotondo
che ci ha cresciuto insieme. Nel deserto
come un morto appena nato, io ti aspetto
dove è imprevedibile l’incontro
e solido il silenzio, dove prego,
quando il passo ombreggiato che ti annuncia,
come seguendo orme senza suono,
rende questo luogo smisurato
il più intimo e privato, alla mia vita.
Con la semplicità di un sole apparso
spezzando la mia voce , mi domandi
con le parole più corte che conosco:
dammi da bere, ora, mia sorella.
Dammi da bere- ti rispondo- sono vuota
fra la polvere di casa, sradicata
con un grido in mezzo al petto, sono sola.
-Tra le stesse consonanti le vocali
luce dopo luce sono nuove
e ogni coppia è la rivelazione
che ripetere è il trapianto dell’amore-
se nell’attesa più profonda siamo acqua
che ritorna nella brocca, coniugando
il mareamaro di un dolore cristallino,
dove posare il capo ed una tenda,
nel sacro cedimento e l’abbandono
del corpo, consegnato al proprio sangue.-
Nella quiete del sorriso ci spogliamo
di ogni sicurezza- andando nudi
con la stessa tenerezza di un bambino
che respira nella pancia la domanda
da portare sulle labbra- la sua sete-
di buona compagnia e benevolenza,
che nella muta si trasforma al dito
per fare dell’incontro gli sponsali,
delle nostre debolezze il testimone
che tiene in mano la ferita, che ci salva.
Con il dono che attraversa gli assetati
diveniamo quella casa smisurata,
una fontana d’acqua, il cedimento
del respiro nella mano, il sonnoazzurro
che ci accarezza il viso, che ripara
con altre acque il pozzo benedetto.
Immagine Yann Arthus-Bertrand