Ti ho incontrata con il sole nella testa,
con il guscio delle ossa malnutrito,
fra la bellezza religiosa del tuo tiglio
che portava i vostri pollini lontano.

“ O Signore, concedi a ciascuno la sua morte”
è stato il primo verso che ho lasciato,
fra la calce rosa dei tuoi fianchi,
eri ancora grata di esser viva,
mentre davi il consenso alla tua fine,
come un’albera al suo frutto quando cade.
È lì, dove ho posato le carezze,
accompagnando l’odore delle lacrime
nel dolce tremolio sopra la schiena,
per una comunione- come a mamma
con le bende calde sopra il male-
fra il colore consumato di una vita
e le lunghe astinenze dell’inverno-
per arrivare più lontano e far ritorno
a quel Natale, che ci ha tenute insieme,
con la tovaglia splendente su una tavola
di ruderi e di assi tumefatte –
fra i doni, un antichissimo trenino,
girava con la giostra dei cavalli,
un carillon, che ti ho lasciato in dono,
nascosto come un Dio nella montagna.
Era tutto naturale, il grande freddo,
per sua natura cavo, nella pancia,
faceva compagnia ad ogni orecchio,
come chi resiste al gelo ormai per sempre.

Il tetto è divenuto quell’aperto
che ti leggevo nell’elegia di Rainer,
e l’apertura musicale del celeste,
su queste piccole ginocchia coronate,
è la tua mano, oggi, che riposa
fra le stanze di altre mani, sussurrando
la Melodia ungherese in si minore
cantata da una giovane domestica-
Nel congedo, al tuo ultimo silenzio,

ti scrivo con la mano di una donna
che strofina sulla pelle dolorosa
la tua voce d’oro, e stupefatta
mi lascio attraversare dalla pioggia
della piccola morte fra le braccia.

– Questa lettera già lunga finiva proprio qui,
eppure lascia ancora che domandi
come ha fatto il tuo tiglio a sostenere
calmo e fiducioso tutto il peso,
l’immenso di una casa tanto gialla?
Come ha saputo orientare le sue curve
lungo i vicoli del legno, e respirare
seguendo i muri, le loro forti spinte,
ripartire l’aria giusta con la luce
assicurando nuova linfa ad ogni ramo?
I miei occhi hanno visto solo questo,
non appena si alzava un po’ di vento,
la celebrazione delle nozze,
nello spazio offerto dalle foglie,
tra la casa e le ali degli uccelli

l’invisibile del bisso che rimane
la figura, che non mi sta davanti,
ma alla fonte, un’iride, la pianta
la radice prima della vita,
che tutta la giustifica, in un soffio.-