• #1 (senza titolo)

amina narimi

~ ..con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

amina narimi

Archivi Mensili: luglio 2014

In ogni luogo polline..

28 lunedì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

babbo, Mammet, narimi, padre, Papa Wojtyla, papà, polline


sono salita così da mio padre

come ci si sposa,

attraverso un mistero

che ha reso reale l’odore

di ieri–

dietro di me c’era qualcosa, qualcuno

che potevo toccare, davanti quel sogno

del patio, le mani e il suo viso

silenzioso come le stelle in alto col mento-

di gioia indubitabile. Con un sorriso chiaro

nel palpito leggero del “perché ?”

mi sono velata di bianco,

come un tacere ad alta voce le nozze

e uno sguardo divino esaudito nel cuore

del pranzo. E’ stato il primo gesto-

in cui ancora vivo – risorgendo-

davanti alla finestra

finchè gli occhi non mi faranno male

per l’assenza impercettibile ai contorni

segreto fino a me- nell’ultima parola:

“ Sì. Mamma si è addormentata dolcemente,

come in sogno..Ecco perché, rimane“.

 

E’ seguito un lungo viaggio nel silenzio,

un tempo magico al ricordo, il nostro,

fino a quando Papa Francesco se l’è portato via

ritraendosi da messa. Come un’ondata ha detto:

“Claudia..è così semplice amare questo Papa

è un polline naturale…” -facendomi rivivere

di essere venuta al mondo – ha sospirato poi,

con gli occhi del bambino più antico sulla terra

” Quando prego è a Papa Wojtyla che mi rivolgo,

sai…lo chiamo sempre papà

nelle preghiere , io lo chiamo papà…”

 

Come un segno d’acqua in chiesa

le sue parole

stavano sospese nella luce

di chi non ha conosciuto un padre.

Al fondo dello sguardo,

riflessa nella sue pupille, è divenuto un’ostia

il pane di ieri nella bocca. -Non sai babbo

della tua bellezza, come è andata

verso l’interno oggi, la nudità

del tuo segreto, in ogni luogo polline,

per quanto sussurrata.

 

Danza nel vuoto della casa, ora

insieme a me, stupenda madre,

dall’altra parte della vita,

con battiti profondi e nuovi

si è chinata, si è congiunta a noi,

come una sposa, papà,

la gioia.

mussole e l'elefante

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Sporgiti dal paradiso solo un poco

26 sabato Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Sporgiti dal paradiso solo un poco
da un punto del cielo all’azzurro,
tra i fili di pioggia sull’albero…
sono pronta a bere col ventre sollevato
dove una farfalla si accorda con la luce

 

C’è un passo veloce che ora ti somiglia,
che calma la terra in pozze di chiarore,
dentro brilla un porziuncola di pace,
una viola de fado che sorride
portando l’acqua tra le pietre.

È tutto molto semplice. Ma domani
andrò dal babbo con il pranzo cotto,
e una luce cruda per non piangere
se mi porterà nella tua stanza
a chiedere del respiro d’oro che faceva
la morfina. Nella stretta delle mani
ti chiamerò, sottovoce, per raggiungerci,
come un albero che si piega per i frutti,
e con le dita, per rafforzare le parole

avrò il coraggio di tenere le sue spalle, piano,
come coi rami più fragili e sfiniti,
quando farà il viso del “perché?” –
mettendo tra le mani la dolcezza
del dolore – immenso nei suoi occhi chiusi,
sotto il peso di quella leggerezza,
con un amore tenuto stretto come
un bastone, per riprendere il respiro
dentro i boschi, gli dirò:
il nostro dovere è di essere felici.
Bisogna testimoniare la sua luce. Vieni.
Ogni cosa che è qui è solo qui. E ora
piove, e ci sono da svuotare le grondaie.

Avrò il respiro tra le braccia come un cerchio
di ricordi che si chiude, che si ferma sulla tavola
a raccogliere le briciole del pane. Usciremo
come nudi nel silenzio faccia a faccia
nel vuoto che c’è, e che farà, come fosse oro
sotto il patio, stringerai le foglie tra le mani
fino ai piedi, bagnandoli nel tempo
più sacro, avrai il mento in alto,
come qualcosa che vuole dire
Un Dio lo sa, dove fare ritorno.

Mentre ancora la luce si nasconde
sporgiti dal paradiso solo un poco,
nel vicinarsi di domani, un’altra volta,
da un punto del cielo, su mio padre.

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Ti sei accesa in procinto di sparire

25 venerdì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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e a vederla tanto inginocchiata e assorta,
raggiunge la grandezza del viso degli oranti,
con le mani tese e aperte,
come sul punto di staccarsi dal suo corpo,
in quel tacere. Entrò nel sonno ieri
mentre gli animali uscivano dal ventre
incenerito. Tu eri nell’acqua che splendevi
a ricevere la voce e il nuovo inizio,
una plenitudine senza incrinature:
se grondava commozione
è perché spiegata piano
piano, come un saluto dolente nell’addio,
il più bello che si potesse immaginare,
un sole che non rischiara semplicemente
che risveglia.
Come brillavi tra il sottosuolo e il cielo!-
spingendo ad ogni anello la rugiada
per gli uccelli – gloriosa nella luce

la vecchia quercia e il mare

 

ti sei accesa in procinto di sparire
con l’amore tanto scosso tra le cime
ti sei alzata nell’aria, senza gravità,
con la forza delle frasi di chi amiamo,
con la gora dell’acqua sulla schiena
e, tra i rami neri di poesia, la gioia,
mentre ti perdevo. Oltre ogni silenzio
alimentavi il fuoco ripetendo:
guarda. io resto. accoglimi.

Ha i capelli corti ora che la guardo
benandante sulla terra
col peso della luce.
E’ beatitudine che ti ha mandato a dire,
nel gesto in fondo piccolo, la sua immaginazione,
che dentro gli occhi il caldo non finisce
di rifugiarsi nel letto della tenerezza,
come scendere tre gradini dentro l’albero
nella tregua interiore e vegetale

-tenera argilla e benedetto,
nell’euforia o lacerazione,
il taglio netto che ci esaudisce, infine
l’oltranza delle immagini, e la febbre
per lo svelamento del destino,
è il ricordo di qualcosa ormai tradito.-

In un’altra pace ti confidava i passi e degli odori,
nell’aprirsi più esposta e più splendente,
più feribile alla vita/ sotto il taglio,
perchè il dolore non fosse da nascondere-

Ora puoi congiungere i lembi del passato
con le monete d’oro cucite tra i capelli,
che il vento le solleva, dentro gli occhi :
c’è un piccolo dio, con poche cose, al centro,
e una fiera sorgente che cammina
col filo d’erba che ricresce sulle mani:
il puro esistere degli istanti che ha lasciato
per colorarti del suo sangue intero

non sente più la sete e accenna al volo,
la sua quercia-
la perdita è la parte più struggente
dello scoprirsi grati nel dolore-
ripetendo le parole senza fretta
come un seme che si affonda nella terra,
-percorrerai le mie vene fino ai polsi
con i rami, fino al fiore di udumbara-

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In qualche luogo, in un istante

18 venerdì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Si desta come un istante perpetuo tra i luoghi
e insieme si scompone al boscovecchio
respira senza conoscenza in volto
lasciando la sua impronta senza immagini
guarda preesistente verso noi,
come ancora non avessimo imparato
il nostro nome, giungendo dalla fonte
della vita, dove dimora, in ogni attimo
che schiude il suo morire. Tutto tocca

 

nel natale originario come un’acqua
il miracolo che entra dentro gli occhi
è tanto intero da affondare nell’oblio
sollevati dalla luce, senza lotta. Respirare
ciò che pesa ciò che ci sorregge insieme
io non so che cosa sia-
tutto il respiro della vita in un istante-

per tutte quelle volte che ho seguito
le impronte dei miei cervi dentro il bosco
seguendo qualche uccello di richiamo
o sedendomi nascosta sul laghetto, per l’ora della sete,
andandoli a cercare non ho compiuto passi dentro il cuore,
ma nel tondino di un maneggio per l’ allenamento,
e il laghetto intorno a dire: li cercavi, e ora?

Quando sospendo le domande, quando corro
sulla pelle- il suono è uno solo sulla terra
se non incalzo la coscienza, se all’improvviso
dietro il sentiero si accende un capriolo
che sta più in là della mia mente, che la inonda
e si perpetua nell’istante unico ed intero
-al centro del mio essere c’è amore-
una cosa di poesia che non so dire-
una creatura intirizzita e a un tempo
folgorata insieme: con la luce

è il pieno della voce lo spazio chiaro
dentro l’anima- l’immediato con l’udito
del gemito il sussurro, e più di ogni figura
ancor più di ogni azione destinata, con il salto
e per ondate che si estinguono, per attimi
simili a scintille, come solchi appena aperti
nell’erba alta- si fa un’impronta chiara, di bellezza,
con un’ombra , in quell’istante cieco del vedere,
un vuoto, che si raccoglie e custodisce come cenere

 

Quando parte, quando fugge dietro la sua curva,
con me rimane quel silenzio lungo, verso dentro
e nel più segreto allora si stacca una parola
appena, in un minuscolo frammento,
lasciando intatto il seme
in qualche luogo, un altro cervo, in un istante

amina-la cerva

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Un lungo dialogo prima di partire

16 mercoledì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Un lungo dialogo prima di partire-
con la casa, con il paesaggio, delicato
nel vasto rito di rispetto ad onorarlo
fino al lamento dei fasci delle canne
in fondo al giardino, di malinconia
estiva, voce dell’intimo- per pochi giorni

 

Un luogo a parte la madre- silvana
nella sua nudità ed io, nell’atto di obbedire
imparo: le parole inevitabili
che non bastano-
-nella sua natura immensa, serve quel sorriso,
il vero figlio nel tempo della storia
del lutto, che ricada come pioggia
nel suo ciclo

dove spuntano le canne si forma allora
nella visione più ampia più feroce
la verità che pretende l’anima, che avvera,
vibrando per qualche istante, la pietà,
sulle formiche che portano la gioia,
dove s’inchina mettendo pace dentro gli occhi
l’acqua dove si cresima il canto dell’infanzia
che mi aiuta, lucido e sentenzioso,
a partire verso il mare: eccola..

soma di luce,
sono così piccola

nelle sue mani sul mare,
ancora vuote poco fa, di casa in casa.

un lungo dialogo prima di partire

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Finchè non sa di bere

14 lunedì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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La poesia è ritorno. E’ sempre un ritorno la poesia,
nel desiderio femminile che ha in sé, la casa,
l’abbraccio, quando entra carezzandoti, le mani
sulla carne del cuore, perché possa rivedere
come vede un animale il respiro di tempesta
e sanguina,
impazzendo alle stagioni quando tornano,
spine, e morbidezze. Dentro casa
si apre il fiato e ancora una volta ti racconta
della notte di natale che verrà,
dell’uomo coi legni sulle mani, e la promessa
di tramandare quel segreto all’acqua,
nel fuoco sacro di trovarla, tra le radici
e l’estasi. Finchè non sa di bere
nella penombra sta la donna, l’educanda
che trema nel presente nudo,
per leccare le falde, gocciolando piano;

Femina Fera

 

 

 

 

 

sa dell’amore, come batte il salice, come si abbassa

sulla lingua speciale del puerperio,
perdendo luce dai suoi occhi
senza lasciare traccia
la cicatrice sepolta nel bianco.

La chimica del passo ha mille nomi
mentre il mio settanta volti soli
nel punto estremo di resina e respiro,
come l’acqua quando vibra con un sasso
prima di arrivare, ti ho mostrato,
nello spazio aperto, un’anima
che precede la pronuncia del suo nome,
inconsapevole, al lume del mistero. Io resto
dove posa il piede prima dello slancio,
in questa brevità, tu devi rincasare,
nella poca luce, nel sussurro,
dove l’acqua tende, per tornare,
per tornarsi a vivere. Da questa poca morte-
nel silenzio delle sponde, tutto avviene
intorno agli occhi- rendiamo la verginità,
alba su alba, berranno le nostre gole
ad una antica dimora d’acqua

 

la tua poesia non ha felicità,
ma la sa offrire. per sempre
la porterò via, legata a me,
come un soldo agli egiziani,
lungo i campi di cinabro,
legata agli alberi nel cielo,
come in casa,
mettendo il riso sulle foglie
per sempre sacre, e chiare,
al chiaro del letto accanto al mio,
dove dormi tu, che mi sei fratello,
e il figlio che si genera,
con tutto il pudore che hanno le parole
concentrate in un fiore senza voce,
per la stretta alleanza che le muove,
che ritorna.

così in cielo come in casa

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Quattromani nell’erba

10 giovedì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Se nella quiete aspetti la notte
spostando un ramo solo nel cammino,
l’ombra che cade comunque è fedele ai colori
e inizia dall’erba la luce che varia, ancor prima
nello sguardo anteriore al colore del giorno
che adorna il suo nome affidandosi al suono,
muovendosi in mezzo alle cose, come una donna
in penombra, nell’andirivieni al balcone,
scostando appena le tende : sembra cammini

 

dentro la neve, coi piedi nulli e i polsi leggeri,
nel suo splendore, facendo strada sulle ginocchia
ad un cuore. E’ un lungo viaggio fatto di adagio,
con le foglie dentro le orecchie, il frutto maturo,
l’interno morbido delle parole, la tenerezza:
è una piccola casa una parola nascosta,
dove dondola il legno, ridendo a ogni cosa

e noi, – come una anziana cicogna
quando i figli la sostengono in volo,
e dolcemente, da ogni lato- con le ali
ci apparteniamo ancora, ci affidiamo
come l’estate che si apre, sul lembo della terra,
dalle bende calde di un inverno di dolore
e passa avanti con un salto alla mutezza,
tra le ossa ed il mistero di pronuncia,
la riconciliazione con l’inizio

del canto, la mietitura :

“se metti a conca le mani
se le tieni appena sotto il timo,
e col ventre raccogli dal profondo

delle spighe,
dalla falda più amara del fiele, la pena
dell’ultimo sorriso che ricordi

di lei,
portando in avanti le mani, e le braccia
più lontano che puoi, lentamente,
se rovesci le mani- ed osservi
come il nero non macchi la terra
e si offra tinta coi fiori
mostrando sul dorso dove posare
il primo sorriso curato nel seno,
diamante del viso più chiaro-
segretamente ti sfiori.”

Tutto quanto era la luce
tornerà. Dal gomito dell’angelo
le libellule per la stessa strada, per rincorrerti
ai ripostigli della neve, all’erbarenna,
canteranno ogni giorno, con un gesto ripetuto,
con un solo sorso d’acqua, nel sorriso,
la luce per potersi allontanare
nella raccolta delle voci e di un amore,
per il vuoto che si scava nell’anello
con un fiume, in un piccolo anfratto del greto,
il disegno sull’erba del ramo
il profumo coerente e persuaso
come l’azzurro, per rivoltare le zolle,
che smette per terra, per farsi ricordo

( Niente parla di noi, tuttavia,
camminando la notte- ripeti-
tranne ciò che ci tocca)

nella minima nicchia degli occhi
c’è una colonna di luce,
che ammette lo sguardo,

che tocca,
nella più tenera somma, i colori
fedeli a quell’unico ramo

che siamo
quattromani nell’erba, ti mostro.

quattromani nell'erba

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Alla signora per terra

08 martedì Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

Graal, luce, narimi, nome, Signora, terra


Nel suo riserbo, al laghetto azzurro,
come un prato trema in sacrificio
il mio piccolo graal,
con gli occhi silenziosi
alla feroce innocenza del sole
gonfia come un amante la gola
sul ventre che si rovescia in luce

 

è un pomo di adamo quasi invisibile
nella congiunzione luminosa,
nell’istante bianco del fulgore,
ha trasformato in luce la parola Dio

candore senza mediazioni la purezza,
a se stessa dà il nome, lentamente,
nella sua incantagione, nel ringraziamento,
celebra lo stordimento sacro dell’inizio
di una religione con l’Aperto,
e lo fa poggiando l’orecchio debole sul bosco
e alla Signora inconfondibile che è in lui
nudissima
amante degli assenti e luogo

cammino fino a fare spazio
per una apparizione
nell’indicibile comunione con l’essenza,
quando si ripete, quando s’immerge,
li tocco avanti e indietro nella morte,
che esiste,
nelle diecimila cose, innominata

 

fino all’ultimo respiro, verrò qui,
sotto gli alberi, commossa,
a difendere la luce di un bambino,
dove tu canti – Lei sanguina nei fiori
di madri passate, riunite,
che hanno preso il nome tuo poi l’altro-
con Narimi- il capo più vicino
del filo che rimane a te,
che sei nei cieli
luce ad altra luce-
e alla Signora confondibile
per terra,
quando si avvicina.

alla signora per terra

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Con la terra di Malta

05 sabato Lug 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Nell’acqua delle cinque sorgenti
nel recipiente di bronzo ti lavi
e oscilli nell’aria di una tela irregolare,
nella fatica del raccolto, nella morte di un caro
nella fame avvelenata in fondo al cielo
Maria innamorata, di Nardò,
di un amore che ti ha lasciato dentro
in un velo di papaveri costretta
a ballare tra i colori del dolore
la catarsi pitagorica , innocente

 
la tua cerimonia. É la cura, Maria,
nel movimento del ragno,
come le madri che non danno riposo
ai neonati, a forza di braccia la culla,
non già nel silenzio, ma come una nave
il canto si muove, assegnando potenza
nutrice dei corpi, nel mare. Sei tu,
progetto di ritorno a quelle braccia,
un canto indietro; non è follia
quell’incontrarsi primordiale della pelle,
nel profondo di ogni essere. rimani
della tua meraviglia innamorata

a metà del cammino che tacemmo
lascia che dica delle rose di Duino
del vento nel lavacro e della musica,
che ti spezza muta nei singhiozzi, che ti placa,
venuta al mondo nei passi di una danza
che io possa dire da dove tanto amore,
dalla bellezza zingara e madonna
quando ti muovi

Maria di ora e cresciuta,
con la canicola nascosta della mietitura,
dal bianco abbacinante delle case,
ricoperta di calce sei tornata
col rimorso, al centro dello spazio,
sacerdotessa inconsapevole, di tanto latte
trabocchi quel dolore e danzi
risolta nel raccolto, e donna nuova
coi suoni, tutt’uno inginocchiati
per stanare la taranta con l’offerta
del violino sulla faccia che ti vibra

La tua pelle, Maria, è il tamburello,
percossa nel ritmo ordinatore
dentro è fuori e il ciclo si ripete. Ti ripeti
tu: taranta, con la testa tra le gambe
piegate come zampe d’animale, rotoli
nell’indistinto, sulla schiena strisci-
smarrita delle dimensioni- sotto le sedie,
e le travolgi portandole lontano,
con la pancia nera, salti in piedi e danzi
nello bianco del lenzuolo, rotei,
cadendo infine, Ragno potente,
notturno inconscio.

Pura Maria sotterranea, se non è veleno,
cos’è che ti fa danzare fino a San Paolo..
con la speranza di ascoltare, dal forte labbro,
la preghiera e una parola che ti salvi,
che annienti il tuo dolore sulla croce
di due pietre e ogni anno?

 

Terra del rimosso di un passato sofferente
che riTorna. Nella cava più segreta
della quercia, anche tu sarai dimentica:
nel giro di una danza è l’occhio di un bambino
finalmente esploso
dalla rebecca fino all’animale
all’indistinto, te, privilegiata,
per tornare a raccontare tra le messi
dell’amore di ogni anno, dello sposo
che ti pizzica celeste tra le anche
che ti fa santa,
con la terra di Malta,
impazzita di gioia

con la terra di malta

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Sempre giovane è la conoscenza

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a cura di Alfredo Rienzi

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