Nel suo riserbo, al laghetto azzurro,
come un prato trema in sacrificio
il mio piccolo graal,
con gli occhi silenziosi
alla feroce innocenza del sole
gonfia come un amante la gola
sul ventre che si rovescia in luce
è un pomo di adamo quasi invisibile
nella congiunzione luminosa,
nell’istante bianco del fulgore,
ha trasformato in luce la parola Dio
candore senza mediazioni la purezza,
a se stessa dà il nome, lentamente,
nella sua incantagione, nel ringraziamento,
celebra lo stordimento sacro dell’inizio
di una religione con l’Aperto,
e lo fa poggiando l’orecchio debole sul bosco
e alla Signora inconfondibile che è in lui
nudissima
amante degli assenti e luogo
cammino fino a fare spazio
per una apparizione
nell’indicibile comunione con l’essenza,
quando si ripete, quando s’immerge,
li tocco avanti e indietro nella morte,
che esiste,
nelle diecimila cose, innominata
fino all’ultimo respiro, verrò qui,
sotto gli alberi, commossa,
a difendere la luce di un bambino,
dove tu canti – Lei sanguina nei fiori
di madri passate, riunite,
che hanno preso il nome tuo poi l’altro-
con Narimi- il capo più vicino
del filo che rimane a te,
che sei nei cieli
luce ad altra luce-
e alla Signora confondibile
per terra,
quando si avvicina.