• #1 (senza titolo)

amina narimi

~ ..con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

amina narimi

Archivi Mensili: giugno 2014

Per l’ultimo matrimonio..

27 venerdì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Nel silenzio dei fiori avverto i tuoi passi
negli occhi. Un albero solo
mantiene la schiena, conversando con te
tutto è presente e così altrove, insieme
occultando l’apparente della pelle
rendiamo visibile il nascosto
primo tesoro, nell’oriente della forma
nel più profondo noi
emerge un io celeste,
il nostro doppio in cielo
tocca l’inguine dell’ essere
nello spazio puro delle lingue.

 

Nell’istmo delle celle immaginali
io ti vedo, e nel sommo dei sensi mi espandi
mi dai forma. Nel viaggio,
fino all’estrema spiaggia dell’ombra ,
col lampo del sole al tramonto, mi bagno
nell’acqua perenne, fresca e salata
alla punta sottile dell’estasi
estraendo mercurio, dentro le mani,
si scioglie un diamante,
mescolando la vita alla vita,
come l’unica fiamma di una candela
che può accendere altre candele,
senza una perdita-
nell’oceano di fango del corpo, di angosce
e stupori, fino alla goccia più trasparente
raccolta nei palmi all’estuario-

trasformiamo le stelle, cadute nel buco
che inghiotte di nero ogni cometa,
nel centro esatto di luce,
col getto amorevole delle fontane
bianche d’amore, e di un’ anima,
in un corpo astrale, senza più differenza

c’è un grembo sottile, un seminarium
nell’atto perfetto della preghiera,
tra noi, una segreta energia
che libera il cielo nascosto nel cuore,
salendo alla mente come un’aurora
un’onda di miele, di bestie, fino alle piante
alla struttura tellurica infine
per ogni pietra dell’essere. Ho pianto

al limite dell’invisibile
fedele angelo mio, giungendo per te
alla sposa segreta.
Rannicchiata dentro il mistero
ho iniziato nuovi sponsali
col sentimento della distanza,
di simultanea presenza

 

Nel nono cielo, privo di astri,
contemplo il nostro splendore:
è un velo, sulla nostra bellezza,
un solo albero lungo la schiena
i tuoi fiori, tutto negli occhi
è presente, così altrove, insieme,
un passo tanto dolce
può essere solo di gioia,
per l’ultimo matrimonio,
infinito.

Michael Kenna

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La muta della carne in un respiro

25 mercoledì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

Carne, Muta, Respiro


Respiro di balena il vasto cielo-
quasi tutto sapesse lo spazio in noi cos’è,

ogni cosa che accadde
lasciandosi andare nell’amata
maestosa forza nel grembo dell’oceano-

potessimo raccoglierlo, ancora misti al buio,
un solfeggio per sussurri e vibrazioni
nell’estasi oracolare, nel movimento
spargerlo di un vuoto interminabile
e ancora offrirlo agli alberi,
con il caldo delle mani, avvolti
nei nostri piccoli abiti, negli occhi di novizi ;

 

è solo al centro che vedi aprirsi in folla
gli altri centri di eterna pubertà
quasi comprendendo chi li culla,
nel sonno che addolcisce quel lamento,

una volta c’era il mare, lì,

tutt’uno col deserto

E se domandi dal centro della rosa

di aprire all’angelo le ali
adagio si alza in canto la fragranza
di favola e amicizia, ed è una gioia
in alto, con un crescere che pulsa
il suo nome nel tuo insieme,
la muta della carne in un respiro
che s’incurva, che penetra nel vivo,
fiorendo nello spazio uno per uno
la lucidità che schiude questo amore,
donando libertà dentro lo sguardo
senza dramma quando deve ripartire
dalla luce delle diverse apparizioni.

Senza dimensione, la luce, è l’infinito
e noi – in anticipo per sempre sulla carne,
che lenta si distende nelle radici del parlare

finchè verrà a tacere- dalla nascita,

se crediamo in lui, una sorgente

Anne Wipf-Giostra

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Nella giunzione irriverente della mani

15 domenica Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

amore, creta, diga, giunzione, lamento, mani, occhi, rosa, seno


L’immersione nell’anima di uno sconosciuto
infilando il dito nel buco della diga,
perché non mi travolgesse la sua favola,
poi viverci accanto e sognare
-eri meno di un sogno, di là,
perché ti sentivo arrivare
figlio del mondo e madre perenne
dai lombi sacri, le ginocchia svelte.-

 
con la polvere negli occhi dell’infanzia
mutando le parole con la pelle
nella meraviglia che dischiude un sesso
come l’alba, imparando l’abbandono
col tramonto e un fascio di capelli
lasciati lì a durare
nello sguardo altrui chissà in che modo
nella perfezione muta del nostro nulla

ogni giorno accade il “ sì” dolcissimo
– e sale dalle pagine dentro la tua vita,
superando l’esistenza di un Dio instabile-
con le gambe nude, ovunque lei si trovi,

nell’acqua,
per catturare ciò che in ultimo ci copre,
nella giunzione irriverente delle mani
col seno sta giocando coi tocchi della luce
come fosse creta / sotto i tuoi occhi
come un’altra pelle, indifferente alle regole
fitte di parole incomprensibili,
tra le arance d’oro. Piena d’acqua

 

della nostalgia
sta cantando nell’occhio della rosa –
piantata davanti alla finestra,
guarda e si raccoglie nella vasca
col vivissimo amore che discende
nel punto più tenero del grembo
sotto la spinta del suo crescere
tra i cespi di more- così lucente,
nelle mani di chi ama,
persino il suo lamento
viene, all’ultimo

nella luce dritta la Tua voce

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Non guarda più contempla nello spazio

14 sabato Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Il volto che non raggiungo me lo dice- la femmina
del profondo, con una lingua sua,
vede le cose parlare,
come appena presente, una famiglia
che sopporta l’essenziale con coraggio
:la contemplazione senza polmoni fissi,
respirando lo spazio, prima, poi l’aria,
e le cose che lo abitano- cercando un punto
sulla fronte, con l’anulare della mano destra
lo cerca, chiudendo gli occhi, senza significato,
con una dolcezza vista soltanto nelle foglie
quando si sdraiano negli animali, a terra, poi

 

non guarda più . contempla nello spazio
una sfera di 8 ettari di medica, infinita
in sé presente nel suo vuoto, danza
e danzatori insieme, noi superando_
_ci siamo bagnati senza separazione
senz’acqua lavati via le croste con la luce
in ginocchio, pianopiano, celebrando il dono
impossibile da nominare, così sottile
che perdi la strada con le parole. Come valli
vuote nel movimento come tronchi
sinceri, come acqua torbida che sedimenta
andando alla quiete, alla sorgente colma
della voce che vede le cose parlare
quando ancora non sono presenti

lì, dove abbiamo seminato la placenta,
quando la neve è all’appuntamento,
si addormenta la foresta con le mani
a quattro zampe: c’è un piccolo paese
tra le nostre dita, coi lumini sopra i piedi
vicini si vedono in lontananza, si fanno visita
nel sogno, e nel cuore della bocca
nasce il nome, gemendo, dalla fronte,

ti goccia negli occhi

così ti scrivo, senza guardare,
nello spazio puro, che danza immobile

l’amore

piccoli soli neri

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Narinzemi

13 venerdì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

Cammino, madre, mare, Narinzemi, occhi, Zaum


” Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.”

 

Nel tuo racconto sulla spiaggia,
aperta dalla luce
così pura nel mio male
ho riconosciuto quella donna,
e il resto intorno, dalle spezie
tenute tra le mani, dalle mille
e una notte alle confessioni;

affondava nell’aria una scala di seta,
su tutti gli aranceti che esplorano lo spazio,
tra le vesti e la casa degli uccelli-
un canto solo e i violini due respiri
vicini all’elegia, di quelle notti estive
un momento di amicizia tra la veglia
e il sogno delle rose, nel silenzio,
su cui poggiare la testa. Con il filo

ti racconto del zaum, di quella profezia,
con l’incanto della lingua piantata sulla terra,
dove l’avvenire non è avanti, ma ti avvolge
all’intorno che ci aspetta

ti lascio entrar dagli occhi
come un lungo inverno e madre mia
come sabbia sul mio fianco, benedetta
in ogni angolo in ogni baia,
per brillare senza ostacoli –
il mio fesh-fesh dentro la carne

la dolcezza del tremolio,
è così forte al sole
che le arance scendono negli occhi e tu
mi sollevi con un’ombra, mi proteggi
in una scia, come sotto ad una chioma
che dissemina dal centro il suo calore

prima di ogni altro narinzemi ,
curando il taglio tenero del succo
negli occhi dritti al fuoco,
con gli intervalli di bellezza dell’amore,
mutandoli in colore,
spezzando la rincorsa alla neve eterna,
nel giro più normale della vita

Ho pregato in quella donna, l’adagiarsi in me
della sua voce, tra la riva e la coda di cavallo
che portava, nascondendo un fiume più profondo
del filo rosso in gola, di vaghissima bellezza
aveva un dono per farti sentire sulla pelle
la fragilità dell’esistenza, e un patto con la vita,
un mistero che non riusciva a interrogare:
migrare o morire: inseguì le mandrie di animali,
selvatica tra le bestie nelle praterie, fino a casa.
Al nostro mare

ci alziamo, col suo vero nome
a un solo tratto dal corpo, e un uomo,
un uomo di passaggio, che aumenta la realtà
correndo, allargando la ricerca della grazia,
ad ogni passo e un varco
capace di contenere orme ed il domani
sulla soglia, di bianco in bianco
correggendo la nostra vista corta,
nello sguardo curvo, e vivo,
come un invito, nella stessa orbita

quello che ho amato – spiega- è senza fine
tirandosi dietro l’anima, proprio il corpo,
recuperando peso, residuo altare alla fede
nella vita
per essere vera e sacra – prosegue,
unendo col suo volto le mie mani-
sono il labirinto di una persona
che si è persa, nella trama dei suoi vestiti neri,
che domanda l’unità, fra la voce ed una storia,
di un’armonia difficile da trovare- Sotto la neve
non esiste una realtà unica,
come sia arrivata qui, e chi l’ abbia
accompagnata nel sonno, senza sogni..e poi

Si sofferma, e prega, con gli occhi del mare
sulla freschezza, nell’ora più chiara,
girandomi l’acqua tra i piedi. Rianimata,
vedo appena il movimento del respiro,
mentre lui scompare, oltre le dune, e lei,
messa semplicemente tra le mani,
una resina chiara che sale
fino all’ultimo degli alberi di Sasso

avvicinandosi prende una luce
l’odore di questo segno splendido
della sua vita
per farne Una

che alla mia cammina

Paul Gustave Fischer -Donne sulla spiaggia a Falsterbo

P.G.Fischer- Donne sulla spiaggia

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Come il Nuctes di Michaux

11 mercoledì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Tag

H. Michaux, Nuctes, sguardo, Sogno, toccare


Nella tua dura luce strati di terra
più concreta e necessaria
nell’intimo si piegano,
ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno
che racconta  la ballata, il largo con le labbra
degli occhi- del desiderio di contatto
di un sorriso universale  con il mondo
creato delle acque-  più elementari,
è uno sguardo all’uscita di casa,
tra  gli alberi  e le ombre, un inchino

Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo-
senza mandare un brivido
a sollevarmi i capelli-
tutto all’altezza della parola
supplente, quasi, fino in fondo
finchè, amore, non ci separi
una piramide di fango

Se avessi tolto prima  la cornice
ti sarebbe apparso il perimetro alla tela
con il colore originale dello sfondo,
il rosso carminio, del carapace della cocciniglia,
dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto,
lo splendore della vista attraverso le comete
di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora
come una campagna che tutti abbiamo percorso,
una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi
con lui, nello spazio breve del giardino
che genera l’incontro, tra la visione e il cuore,
giustificando il transito: l’adagiarsi della luce
piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,

scolpito nel tempo di un riverbero
è una vertigine infinita la calma coscienziosa
sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello
che verrà, dopo l’arrivo alle nostre mani,
strette umane l’una con l’altra a dondolare,
annunciando l’inesprimibile, come in sogno
nei carmi figurati, ricreando geroglifici
le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto

mi chiedi di morire quel che c’è?
Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come
delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti
all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto
come enigma,  e le radici a nudo, alla fine del corpo,
non meno della mente o della musica
della storia personale dolorante. L’emozione
dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza
ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti,
nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso,
sulla veste impudica, i movimenti della mano;
con un gesto unico, la mia montagna che cammina
vuoi.  Immagine e scrittura
sembrano chiudere lo spazio
ostacolare il balzo avanti dello sguardo

è  viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve,
che si apre accogliente sull’immenso andare,
come apocrifo e segreto resterai,
celando il vero volto, semplice ombra
di molteplici tu che viaggiano in sogno
cercando il segreto in un’altra vita.

Strati di silenzio inalienabili e nudi
mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli.
Con l’addome magro sul volume di preghiere
non prometto di non immaginare
che siamo corpi esposti a un Dio,
fragili fortezze, nella pace giusta della gioia,
che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua
i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi
ognuno ci sognerà,
con qualche gesto da ricordare:

sapremo  l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza
di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome,
di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare
con l’arrivo del nero, si colma a disegni,
formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete

 

Senza più lingua né voce, è il nostro sonno,
dalle mani alla carta. senza le braccia,
riprendo a camminare, sorridendo,
come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle,
l’abbozzo di un’ala che cresce,
piano, pianissimo,
per volare ancora nei sogni.

 Henri Michaux, Emerging Figures

The National Museum of Modern Art

Tokyo – 2007

 

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Reliquia desiderantur

09 lunedì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Non ci sono tutti i pezzi, mancano

persone incontrate nella vita

dentro una pena grande o fili luccicanti

di una gioia bianca in ogni poro

nelle strettoie del buio. non indietreggio

sotto la mia mano, mi apparto

e disegno figure d’angeli, e l’angelo

che avevo in mente più di tutti

 

assorta nell’acqua, all’ombra di una storia

accesa come una candela

per quelli che non hanno occhi,

per i fiori, anche per me, salto

da tutto l’invisibile- come fa un bambino

lanciando il gioco per avere la misura

di gravità- del canto, del rumore in una strada

bianca, a velo, sul Sile.

 

Durante una piena dolente di dolcezza

viene avanti piano il bene

lo annuncia l’aria, anche quando non ci sei,

col suo atto d’attesa, e l’anima

sussurra di luce, immensa luce-

 

togliendo i chiodi uno alla volta,

morbidi, dagli occhi chiari,

fino alle radici rimaste con me

-riparata dalla punta scura

risaliva la notte, e tornava

propagando le movenze dei capelli

e un cerchio, fiorito sulla bocca.

 

il resto intorno nudo, come la bontà,

insorgendo lentamente,

senza aggiungere nulla, scopriva il capo

di gratitudine, con la bellezza tra le braccia

del sesamo, a rubare la morte- nel cristallo

dell’amore infinito, sul suolo più puro

-che non esiste. Oggi era il tuo nome

composto col sudore splendente

nella fatica, raccolto da terra, brillavi

come una lucciola, sulla conchiglia del fiume

senza inizio, e senza fine altre vibravano

dipinte sull’erba- le tracce, se le adoro

in quella loro luce scarlatta, se guardo per bene

non hanno limiti, possono solo danzare,

a sigillo del tempo, che manchi

 

mi pare un luogo che conosco,

appreso in sogno, alimento d’amore,

e forse, quando vuole pregare,

lo fa col disegno degli angeli,

con questo colore e più dentro,

se mette il seme di un cuore mancante,

altre lingue nel rigo, altri segnali,

è per dirci che c’è

altra luce, per l’alleanza del respiro

e la forza misteriosa che lo rende,

quando è ora

Sile- Reliqua desiderantur

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Nel peso taciuto

05 giovedì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Non è accaduto all’improvviso,

Ma dal dolore al domani,

Allungando le dita negli spazi,

Troppo grandi di sgomento

Perdevamo il nome delle cose

Nel lucido dell’occhio,

Tra la superficie dell’aria e il battito

Sulle nostre nuche : due diverse soglie

 

In due diverse stanze, dallo sguardo basso,

Ci siamo amati a non toccare niente,

Mettendo il corpo non so dove,

Pregando nell’altro di farci passare

 

A mente vedevo spostarsi la tua schiena, e il dito

Finire nell’orto,

Toccando il velo rosso degli anemoni,

Impigliati tra i seni del tempo, rimasto

Dopo la preghiera. Eludendo l’angelo

In un varco, in anticipo sul pensiero,

Cominciarono a muoversi le labbra,

Le ossa del suono a scuotere la notte,

Sulla porta azzurra dei pianeti

 

Per non scriverti, ora, dovrei lavare piatti

Ma non cucino, e ho una tazza blu, soltanto,

Che va e viene dal vuoto al pieno

Dei bisonti dentro il petto,

Con l’unità che tento di raggiungere,

Tra la purezza inesprimibile e la parola

Di un Aronne. è l’eros dell’attesa

Di nuova bellezza, ed il tuo tempo

Diviene questo spazio. Di una luce abissale

 

Riprendono i nomi le cose, il pane alle labbra,

Se appena l’annusi, lasciando la parola

Lo disperda ancora, come ogni nuovo inizio

Incline al vento, che ripete sempre uguale un sogno:

L’andar solo per la propria via, profonda,

Passando tra le miniere per risorgere

Nel grano, si flette, nel colloquio,

Nel più intimo duetto al giardino dei gentili

 

Dopo il candore,

Se un corvo becca ancora le tue mani,

Alla fine si scolora, ricordando

Che il contatto è il desiderio col perduto

La ricerca di aderenza all’altro

E molta fioritura. Serrata tra le ciglia

Va la scrittura col passo di una sposa-

Apparente, e insieme nuda,

Prima di vederla in volto- battezzata

A qualcosa che si lega, che precede

Un codice smarrito, ed immutabile

Cercando di continuo i simboli, per dirsi:

 

In questo luogo antico, fiore del vento,

Restituendosi nel cerchio della sera,

Di là dagli occhi, nelle movenze dell’origine,

Senza riserve. dove la vita sgorga,

Affondata in tutta la sua luce,

Ancora una volta scalza, ed Ama,

Senza farsi udire nel suono,

Nel primo pianto della gioia,

Un gesto di pace,

Che si raccoglie in tenerezza.

 

Figli di noi stessi, ci sia sempre speranza

La visione di ciò, a un anno dal Noi,

Le parole che vennero,

Dopo un secondo linguaggio

Riprendo ora la lentezza della danza

Nella mia tazza blu_ oltremare

Quieta del tuo narimi, nel mio cuore

 

A perdita d’occhio. Nel peso taciuto

C’è un nuovo lascito di luce,

E di fiato,

Coi suoni più piccoli dei serafini.

Continueranno a posarsi sui rami,

Spargendo il polline che noi respiriamo,

Orientandoci alla testa dell’albero

Di un uomo-cristo-poeta

nel peso taciuto

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L’ultimo sole da baciare

03 martedì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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Si tendono le dita come foglie
avide. È l’acqua che domandano,
nella sua continuità, alla nebbia
che risale dal torrente. Come un prato
assorbo l’acqua che ricade, e un fiume
che riflette, nell’argento del branzino,
luccicante di salvezza, la poesia

 

Ho solo poche cose, un frutto umile per dire
di come nostro figlio immerge i piedi –
volenterosi e incerti
a molcire il dolore del distacco-
l’orma più completa e morbida
nel sapore dell’argilla sul fondale

Ti bacio gli occhi, generando ancora
un altro_fratello, sulla bocca,
dove sei Perfetto,
per renderti una casa, una perla
a cui tornare
più della mano, è il bacio
la lingua degli uccelli,
che inizia nel tuo ventre
crescendo nel mio corpo
con le ali
ripeto un ritmo muto e brevi spasmi
nei cerchi solari delle piume

 

finchè svanisco io, negli occhi, e il bacio
nella pace del respiro di un bambino,
nell’altra metá dei sogni
di chi ci diede vita
in altre acque –
il golfo sacro delle stelle,
dov’è la palpebra divina
l’ultimo sole da baciare

l'ultimo sole da baciare

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Alla bocca del fiume

02 lunedì Giu 2014

Posted by Amina Narimi in Poesia

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La gola dice mare, quel che resta,
sull’autostrada del Sole,
nelle pieghe delle cose
chiamata dentro, amata
via via più semplice
la bava del cielo, e le labbra,
al limite del gioco, gonfiano di sale
un verso e lui, nel fiore degli occhi,
la chiama innocenza, mentre
trascrivo con pudore le sue parole,
tralasciando il clamore superficiale,
esausta e serena sono a casa – qui,
deve esserci la quiete e di nuovo
campi per il vento, adeguati al corpo,
al nulla che mi afferra, tanto poco
vergine, senza condizioni,
come una nube mi allargo, masticando
sassi e cantilene – con la pioggia
raccolta ad aspettare.

 

Protendo il pugno del respiro,
ma sembra un fiore, succhiato dalla voce;
un pane che ha radici, amare,
pegno e impegno, costante
e fedele. lo proteggo, con la mia nudità
semplice e antica. Nel silenzio
di gioia, ho lasciato il mare,
a perfetta distanza da te.

alla bocca del fiume- femina fera

Pronuncio terra, come un amore
tenuto stretto nel suo cerchio,
il suo scorrere, la sua luce
nell’ultima più angusta cavità
del cuore
senza giudicare, come un frutto che matura
trasformo le mie lacrime nel contemplare,
il sapore di dolcezza, che ritorna ancora,
nella lingua dei pesci, e preme ed entra
dalle dita luminose, distese sulla spiaggia
l’ultima volta per te, vive, nell’unione

 

come adesso che ti parlo,
alla bocca del fiume,
e celebro tutto ciò che vedo,
in bilico, su un ramo,
il senso della luce
che libera gli uccelli.

alla bocca del fiume-Femina-Fera-cat-08.

Immagini: Fabrizio Portalupi Tratte da: Femina Fera di E. Coraini, G. Amodei

 

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