Uno stellario, la tua mano,
che vuole solo respirare,
tutto qui,
sporgersi nel vento
che viene, se cammini,
con l’alba dilatata in fondo agli occhi-
tacere, fra gli alberi,
tacere gli alberi bianchi
di neve o di fiori. Io credo.
Sul rossochiaro del tuo dito
ho imparato anche a dormire-
tra il luccichio delle ginestre
e l’immobile travaglio di quel masso-
con le curve della voce,
la spirale del nibbio, a dare vita,
dove hai disteso la famiglia
e un posto buono, per restare
il tuo mantello.
Una strada sottile quanta calma nel petto che rischiara dove i nomi hanno mesi bellissimi, che crescono seguendo la via lattea
tra le ali e gli alberi dell’anima.
Sono petali bagnati di visione,
con la parola aperta delle cime,
dove dentro vi corre quel bambino,
la sua mano aperta, con la rosa,
le sue gambe, che spingono nell’aria
lo scatto del respiro, nel salire,
in cerca dell’uscita, tra le cose.
E non dura più di un lampo
nel morire
la tragedia della giovane paura,
tra il bosco ed il suo viso.
Poi la musica soltanto, la più viva,
a quell’ora lo incorona, e va alla gioia,
oltre i margini segnati, in un istante
toccando, col duro della terra,
il ricongiungersi al fantastico dei passi.
Col moto delle lucciole sui piedi,
è un viaggio che mi porti,
in un gesto, trattenuto, come sacro,
qualcosa tra le mani, che si bagna,
di ritorno, con la tua saliva lenta,
per toccare, dove non si vede,
il polso quieto di ciò che sta sul fondo-
nel ruotare delle ossa, con la forza
che annida tutto un cielo dentro al seno,
dove cresce la tua pianta. Come mondo
mi hai offerto un largo d’aria,
nel buio lucido e ospitale dove noi
è veramente nostra sposa,
ora che sa come cadere
ai piedi del suo piccolo padrone,
nel profondo bambino, dove andiamo
ripetendo, ad occhi chiusi, sono insieme.
Viene incontro, in cerchi che si allargano
per radici silenziose, come calda,
la nostra mano, nell’intimo,
cercata,
tremolante di luce ci rivela
bagnati di terra, a lungo, e da vicino,
con le braccia larghe di un mare benedetto,
di essere ricevuti, come isole.
Con un ginocchio scoperto vengo a te, sposa a sè stante, dalla voce,
prima che nella parola. Puoi sentire,
passando dall’acqua più verde al sangue,
con un patto interiore, gli sponsali:
si scambiano il respiro, prima del senso,
un salto nella gestazione
di un codice smarrito ed immutabile
-nella lingua madre che dice il sesso delle cose :
nient’altro che fiori rossi, i nostri globuli
senza nucleo, nelle sue profondità invernali.
Ti accolgo nel segreto del midollo osseo,
pieno di occhi, tutt’intorno, come l’anello di Saturno
che contiene il solebuono
Sono le traiettorie per accompagnarti dentro
che brillano,
con la spartizione naturale dell’istinto,
dove sanno i sapori le parole,
con un ginocchio a terra. Nella postura dell’orante
dalla quercia al leccio, al pioppo bianco,
sali con gli occhi tutto il verde delle ossa,
delle immagini che vengono prima del possesso,
nel candore di un vagito naturale
è la catarsi,
l’appartenenza nuda a una poesia. Dimmi :
che ricordi ti sfilavano davanti, da lassù,
quando ti sei girata nel ventre per la luce?
Dico gioia. Per ogni gesto minimo dei rami
aderiva al corpo,
con le sue ginocchia coronate,
aspirando al cielo da lontano,
dove termina la strada
fin dai primi tempi dell’amore,
con la bellezza lucente della terra
sotto i piedi. è un’ederlezi, per cantare,
appartenendo solo al lampo
accordatore di respiri, tesi
su tutto ciò che vive solo
della primavera nelle ossa.
C’è una macchia di purezza
nella stanza armonica,
se mi avvicino il suo profilo è quello
di un bambino e una sorgente sui capelli
che smette di morire intanto mostra
le fontanelle aperte come linee di una mano
sulla testa dove un tempo fu la notte
per gonfiare la sete al destino delle rose
rampicanti. Sull’albero del pane, come una volta,
a chiunque darà di noi la ricordanza-
il suono sulla cima a scegliere le pere, il loro nome,
lo splendore- tra le dita
della prima metà dell’esistenza,
quando solo la carne tremava sui cavalli
barattando con nuova salita per guardare
l’anima, quel punto così in alto,
dove la terra si muove e batte gli occhi
tutta quella luce sopra i fianchi.
Ogni goccia provoca ancora sentimenti,
uno spazio vuoto che s’inclina poi s’innalza
nei buchi a doppio cieco dentro gli alberi,
come perle sotto i vestiti, nelle tuniche di seta delle donne
quando assorbono la vita a chi le indossa,
con una forza sconosciuta sopra il seno. Dentro là,
si trovano gli amanti, il tempio che cela meraviglie,
le nozze verdi misteriose, e i geni;
sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi che ogni giorno attendono la luce, e la ricevano, con l’intero corpo trasparente, la covano in sé, con la seconda vista. Amano, inondati di vita, silenziosamente religiosi, nell’inventare una luna, nella pace di un cielo profondo, che si distende lentamente, lentamente nel chiarore scaturendo una voce e un dorso lucido come mani nell’acqua, che carezzano sulle ginocchia, congiungendole, come due piccoli Monti Athos in mezzo ai loro rami, in fiore
"Mi manca il riposo, la dolce spensieratezza che fa della vita uno specchio dove tutti gli oggetti si dipingono un istante e sul quale tutto scivola." Alfred De Musset
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When the green woods laugh with the voice of joy, And the dimpling stream runs laughing by; When the air does laugh with our merry wit, And the green hill laughs with the noise of it.
La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità. ( Albert Einstein )
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