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Con un ginocchio scoperto vengo a te,
Lorenzo Mullon- Mt.1500sposa a sè stante, dalla voce,

prima che nella parola. Puoi sentire,
passando dall’acqua più verde al sangue,
con un patto interiore, gli sponsali:
si scambiano il respiro, prima del senso,
un salto nella gestazione
di un codice smarrito ed immutabile
-nella lingua madre che dice il sesso delle cose :
nient’altro che fiori rossi, i nostri globuli
senza nucleo, nelle sue profondità invernali.

Ti accolgo nel segreto del midollo osseo,
pieno di occhi, tutt’intorno, come l’anello di Saturno
che contiene il solebuono
Sono le traiettorie per accompagnarti dentro
che brillano,
con la spartizione naturale dell’istinto,
dove sanno i sapori le parole,
con un ginocchio a terra. Nella postura dell’orante
dalla quercia al leccio, al pioppo bianco,
sali con gli occhi tutto il verde delle ossa,
delle immagini che vengono prima del possesso,
nel candore di un vagito naturale
è la catarsi,
l’appartenenza nuda a una poesia. Dimmi :
che ricordi ti sfilavano davanti, da lassù,
quando ti sei girata nel ventre per la luce?

Dico gioia. Per ogni gesto minimo dei rami
aderiva al corpo,
con le sue ginocchia coronate,
aspirando al cielo da lontano,
dove termina la strada
fin dai primi tempi dell’amore,
con la bellezza lucente della terra
sotto i piedi. è un’ederlezi, per cantare,
appartenendo solo al lampo
accordatore di respiri, tesi
su tutto ciò che vive solo
della primavera nelle ossa.

C’è una macchia di purezza 10 agosto 290
nella stanza armonica,
se mi avvicino il suo profilo è quello
di un bambino e una sorgente sui capelli
che smette di morire intanto mostra
le fontanelle aperte come linee di una mano
sulla testa dove un tempo fu la notte
per gonfiare la sete al destino delle rose
rampicanti. Sull’albero del pane, come una volta,
a chiunque darà di noi la ricordanza-
il suono sulla cima a scegliere le pere, il loro nome,
lo splendore- tra le dita
della prima metà dell’esistenza,
quando solo la carne tremava sui cavalli
barattando con nuova salita per guardare
l’anima, quel punto così in alto,
dove la terra si muove e batte gli occhi
tutta quella luce sopra i fianchi.

Ogni goccia provoca ancora sentimenti,
uno spazio vuoto che s’inclina poi s’innalza
nei buchi a doppio cieco dentro gli alberi,
come perle sotto i vestiti, nelle tuniche di seta delle donne
quando assorbono la vita a chi le indossa,
con una forza sconosciuta sopra il seno. Dentro là,
si trovano gli amanti, il tempio che cela meraviglie,
le nozze verdi misteriose, e i geni;

sono bambini al buio i luoghi dentro gli alberi
che ogni giorno attendono la luce,
e la ricevano, con l’intero corpo trasparente,
la covano in sé, con la seconda vista. Amano,
inondati di vita, silenziosamente religiosi,
nell’inventare una luna, nella pace
di un cielo profondo, che si distende
lentamente, lentamente nel chiarore
scaturendo una voce e un dorso lucido
come mani nell’acqua, che carezzano
sulle ginocchia, congiungendole,
come due piccoli Monti Athos
in mezzo ai loro rami, in fiore

10 agosto 788