( Creatura delle felicità di respirare
la parola fatica a nascondersi al fiato
e presa dal soffio, l’aurora verbale
rilega il silenzio al biancore dei campi di riso immaginari )

Per quanto tempo si videro ancora nel fiore perfetto;
ciascun gambo, era un dito, un dito delicato.
Fu certo il mormorio di un invito
a rendere il sonno più dolce
e nel suo andare da pastora
si mostrava la chiarezza di una polvere
impalpabile sul viso –
non il dittamo o un pianto solitario,
ma covava le sue ali camminando
un mescolio di pace,
se cantò per la nidiata e la foresta-
fra gli olmi, sempre sposi delle acacie,
e gli oleandri, delle giovani cipresse,
sotto i ginestri invece riparava
le antiche sepolture dall’oblio,
con piccoli roseti per ognuna.

Cadeva la sera,
le svelava i nascondigli degli insetti
il mistero della vita del magenta
e lei spariva, come fa il colore,
fra le spighe mature del racconto,
incantata nella bruma
del velo grigioperla della barba-

che lasciava trapelare dal respiro
il soffio ancora tiepido di un bacio,
quando reca in sé, nel movimento,
il riposo più lungo del sorriso.