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…Ben oltre c’è la vita

La ferita più profonda che si allarga,

nel tuo viso fertile, compiuta

grido

che c’è pace, nella pelle

che si apre

la gioia di portarti sulla bocca

nel sentirti venire come neve

nel buco più divino del midollo

e ancora non tocchi tutto dell’amore

dei fili dorati che vanno dentro agli occhi

dove entra ogni notte il bambino che esce

da tutta la carne, al mattino

dove ti imploro- in mezzo alle acque

alla casa all’origine, nella vulva di Inanna-

“nel grembo di miele, discendi,

sulla tua barca celeste”e tu, come un santo,

ti unisci all’amplesso, più sacro.

Quattro piedi quattro muri nella casa

di quarantena, quarant’anni di deserto

e per quaranta nel digiuno sei passato

in sette quarantene nel mio ventre

dalla porta. Un’apertura in movimento

svegliando i cani i domestici e il giardino

penetrando la foresta per brillare

dove ti eri addormentato, ti fai nuovo

nella carne della sposa che ti sei,

baciando il parto che ti accoglie .

Con le luci capovolte della pelle

sia fatta la tua anima

con tutto il peso assunto nelle altezze

delle terre più profonde che hai solcato

Abbiamo avuto fin seicento anni

e millemila matrimoni nella pancia

fino al frutto che mangiamo, e siamo noi

le pietre, nell’arco della nube,

e nudi come mai insieme ebbri

della Grande sera al domani che ci canta

padri e figli,

senza paura della morte che è la nascita.

Nell’erezione di Moseh oscilla ancora

nell’arca delle madri spingi con la testa

fino al Nome

nello splendore delle contrazioni,

una dopo l’altra,

facendo delle vertebre un dipinto

del bimbo rosso tra i giunchi che si allargano

nell’uomo verde, è la Pesah, l’uscita

il passaggio di ogni porta, la parola

per parola, il tuo nome che contiene,

penetrando, la tenebra finale

con la stessa lingua che è la Nostra

Pasqua