Pubblicato da Amina Narimi | Filed under Poesia
Petit Onze
09 venerdì Feb 2018
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07 mercoledì Gen 2015
Posted Poesia
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” Come un fiume, una lacrima soltanto,
che scivola dall’occhio di chi sogna”
quando il canto tace in madrelingua
tu mi sfiori, come un fiume,
con Le donne che corrono coi lupi,
se a notte mi rannicchio sulla soglia
di una lacrima soltanto, del suo peso,
lasciandoti arrivare fino in fondo
è così che si completa il cielo
che scivola dall’occhio di chi sogna-
e benvenuto tu, nel mio silenzio,
che spingi i fianchi al caldo della casa
mentre muti la forma del destino
mescolando nella storia la magia
della zampa d’orso di una donna
investita dall’aurora contro vento-
circondato da carte scintillanti
è il Capodanno delle bestie che mi leggi
disegnando l’Ararat e in pieno petto
un cervo bianco coi colori di Hokusai.
Non c’è linguaggio e gli occhi sono chiusi
nelle costole dell’arca come un chiostro,
tra le arcate dei capezzoli ti ascolto
vibrando del più semplice respiro,
fingendomi quel cervo sulle gambe,
mentre corro al salto in braccio del ricordo,
con tutto il peso della luce, quando preme,
quando entri nelle pagine più belle,
come mani piantate nelle neve,
nella nascita costante di noialtri
c’è una conca, una conca della luce,
appena sotto la clausura della lingua,
dove si concludono le sillabe
di tutta la visione di Amapòla-
il sussulto ed il calore degli odori
usciti dalla tana come un canto
sui grappoli del vischio- e nel suo stare,
custode primo dell’amore e testimone
muovendo in circolo le dita come perle,
sulla mano di chi legge lo splendore,
ogni favola è piena di ginocchia
che covano l’inverno delle ossa
salvate in fondo al mare con un sogno
che sale lentamente poi si dona,
in una lacrima sul volto dell’amato,
e cresce, baciando quella gemma,
come un fiume
fino a sorgere la carne, per la carne
sentire il peso quando supera la soglia
una lacrima soltanto di Amapòla
che scivola dall’occhio di chi sogna..
28 martedì Ott 2014
Posted Poesia
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27 lunedì Ott 2014
Posted Poesia
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Coincideva con la poesia
con la parola improvvisa nel petto-
alla forza dei pazzi che l’annuncia
dopo l’ultimo congegno della mente,
l’insinuarsi nel magma ubriaca
per compiere la terra finale nel buio
arretravo nel nulla del vuoto,
di un ricordo interminato dei fondali,
in cerchio di danza,- sull’orlo di uno stelo
lasciato dalla prima sillaba
fu chiaro il furore, due lampi
nel verde del tiglio e una febbre leggera,
nel suono del vento, uno scricciolo,
un angelo sottile mi rapì,
sulla cima del Tauro, nel grido invisibile
rovesciando il respiro in avanti
un solo sguardo.. è la luce nel varco
colma di ogni richiamo alle pietre commosse,
fino alla casa degli antenati
custodiva nel viso me stessa
in forme infantili, e in cammino
generava un’antica figura a metà
tra i santi cristiani e gli spiriti delle tribù
nel luogo dell’aria più inabitato
e pregno di materno sudore
nella tensione del corpo eccitato
per venire con verità nella carne,
con una sola goccia di splendore,
a stringere il mistero. Distesa, nella calma,
tra i colori di una pianta sconosciuta,
dove la parola si fa corpo che si apre,
pronunciando il suono con la bocca
che l’ha generata all’apparire:
un tenero abbraccio per saltare nella nebbia
nella signora del gioco, e quasi un passo
nel tuffo di partenza a premilcuore
che liberamente invade con la gioia,
una danza per accenti e lallazione
Ed è quando la pesantezza m’impedisce
di riaprire gli occhi che ti vedo
con l’intento di arrivare a risvegliarmi
in un altro sogno, dove siamo noi
in altri mondi, ed al risveglio
non diciamo: ecco, era un sogno-
d’indicibile esperienza noi saltiamo
ebbri d’esistenza, per nascita e destino
sul cammino appena schiuso.
Matrice d’ogni luce, viva
tra parole da raccogliere nell’erba
fino alle labbra, ancora incerte
a prendere radice, appese all’aria,
a raccontare dal luogo del ritorno:
l’azzerarsi della terra sotto i piedi
di quello scricciolo che m’insegnò a volare
18 sabato Ott 2014
Posted Poesia
inTag
arcobaleno, gemme, nudità, Sogno, voce
Celebrava il rito dell’amore,
il suo più alto lato,
sulle lastre di pietra,
irrinunciabile-
Ho inginocchiato gli occhi, al tuo vedere-
un movimento lento, dal buio alla gioia,
teneva tutto nella sua luce futura-
mentre pregavi ai fianchi di quel letto
ero nel mio tempio, su alla roccia-
tra i nostri passi, appena disegnati,
silenziosi, come animali nella notte,
vulnerabili con ondate di bellezza
e codici sottili di linguaggi,
-con l’urgenza di ascoltare il soffio
e le tue mani colme di frammenti
che prendono la vita, per portarmi via
di sogno in sogno, in un brivido segreto..
più in là, più dentro a quella luce-
nell’invisibile arteria della grazia
che permette di nutrirsi e fare spazio
tra la ruota, il cerchio, e la sua croce-
fino all’ombra dell’Amenta, alle sorgenti,
all’arcobaleno delle cose, non ancora nate.
Sui covoni illuminati siamo noi
sull’erba dolce, e di un azzurro lieve,
incuranti delle regole periodiche,
per assumere l’immortalità:
un breve istante per riceverti
con la terra e con il grembo, darti un figlio
per ognuno dei colori conosciuti
alla tua fonte immobile, nel sogno
per questo canto puoi sentire come corro,
se mi muovo sulla curva della luce,
un vento largo che si erge tra le gemme
di calore: è il nostro spazio a compimento,
il bianco inizio di una liturgia.
-Tutto si compie all’altezza delle braccia,
nella baia tra il seno e le sue spalle,
con le mani innamorate, voce a voce,
ci diciamo una magia per il Natale,
per riempire a semi verdi il cuore
con la nostra nudità che luccica-
Opera: Eternità- Roberto Ferri
11 mercoledì Giu 2014
Posted Poesia
inTag
Nella tua dura luce strati di terra
più concreta e necessaria
nell’intimo si piegano,
ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno
che racconta la ballata, il largo con le labbra
degli occhi- del desiderio di contatto
di un sorriso universale con il mondo
creato delle acque- più elementari,
è uno sguardo all’uscita di casa,
tra gli alberi e le ombre, un inchino
Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo-
senza mandare un brivido
a sollevarmi i capelli-
tutto all’altezza della parola
supplente, quasi, fino in fondo
finchè, amore, non ci separi
una piramide di fango
Se avessi tolto prima la cornice
ti sarebbe apparso il perimetro alla tela
con il colore originale dello sfondo,
il rosso carminio, del carapace della cocciniglia,
dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto,
lo splendore della vista attraverso le comete
di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora
come una campagna che tutti abbiamo percorso,
una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi
con lui, nello spazio breve del giardino
che genera l’incontro, tra la visione e il cuore,
giustificando il transito: l’adagiarsi della luce
piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,
scolpito nel tempo di un riverbero
è una vertigine infinita la calma coscienziosa
sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello
che verrà, dopo l’arrivo alle nostre mani,
strette umane l’una con l’altra a dondolare,
annunciando l’inesprimibile, come in sogno
nei carmi figurati, ricreando geroglifici
le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto
mi chiedi di morire quel che c’è?
Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come
delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti
all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto
come enigma, e le radici a nudo, alla fine del corpo,
non meno della mente o della musica
della storia personale dolorante. L’emozione
dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza
ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti,
nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso,
sulla veste impudica, i movimenti della mano;
con un gesto unico, la mia montagna che cammina
vuoi. Immagine e scrittura
sembrano chiudere lo spazio
ostacolare il balzo avanti dello sguardo
è viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve,
che si apre accogliente sull’immenso andare,
come apocrifo e segreto resterai,
celando il vero volto, semplice ombra
di molteplici tu che viaggiano in sogno
cercando il segreto in un’altra vita.
Strati di silenzio inalienabili e nudi
mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli.
Con l’addome magro sul volume di preghiere
non prometto di non immaginare
che siamo corpi esposti a un Dio,
fragili fortezze, nella pace giusta della gioia,
che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua
i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi
ognuno ci sognerà,
con qualche gesto da ricordare:
sapremo l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza
di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome,
di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare
con l’arrivo del nero, si colma a disegni,
formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete
Senza più lingua né voce, è il nostro sonno,
dalle mani alla carta. senza le braccia,
riprendo a camminare, sorridendo,
come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle,
l’abbozzo di un’ala che cresce,
piano, pianissimo,
per volare ancora nei sogni.
Henri Michaux, Emerging Figures
The National Museum of Modern Art
Tokyo – 2007
25 sabato Gen 2014
Posted Poesia
inSe balli con me – con quel poco che avevamo
s’inventa sempre un sogno –
fin dentro la terra coi capelli
allungo i piedi in cielo, disordinando l’aria
con la forza del colore che ricade
se canti una canzone, un’ederlezi,
se colmi con l’immagine e trascini
la pelle con la pelle intorno al volto
il confine è la tua mano,
è dove precipita il respiro,
all’insaputa delle labbra,
da poterlo anche tacere, tanto trema,
offrendo un sentiero nel silenzio
dell’alba che passa sopra gli occhi
di un fiore operoso dentro il bianco
Se il profilo del Luogo che Siamo,
è il Lontano, tu, certo, lo ricevi
dove sono il cuore e le tue mani
con la curva che fanno gli occhi nell’Amore
quando si espandono in cieli senza limiti
15 domenica Set 2013
Posted Poesia
inLo ritrovo qui, nella mia savana
all’altezza degli occhi in Trasparenza
tra le pieghe dell’azzurro l’elefante
–già andato avanti–
le orecchie dormono come ali
un’idea dopo l’altra al ritmo di una marcia,
che più m’intenerisce al mondo,
incrollabile di fedeltà viaggiatore Vero
sul bordo bianco ritorna ai posti amati
per anelli. Io credo che Lui sogni una martora
la macchia bianca nella gola come un cuore
lo scavare nelle tane, il suo passo inconsistente
nella neve. del manto bruno ami la lirica
mai livida di freddo dove vive il suo idioma
a che prezzo si accuccia nel silenzio
dell’inverno. Quando amina lascerà il mio corpo
non è per elefante amato che vorrei rivivere
nel giocoliere di strapiombi
d’intesa con l’altezza, un cervo
a prendere l’aria con i piedi
nelle discese acrobata violento
Io credo che Lui sogni un elefante
libero di urtare al buio che gli passa accanto
gli anni leggeri sulle spalle di millemila
storie messe a dimora nitide di caldo
rovente, immaginarlo quando la notte aiuta
a vedere il suo ritorno incerto rovesciando
nella pelle il cuore l’ombra grande
Nell’atto d’unione, nel desiderio Tu
sei un uccello dentro i polmoni
così grande cresci per bellezza
Non è Te che vorrei essere domani
al riparo dei boschi quel cervo. solo
per continuare a sognarti
come l’Altro da me che amo
Alpi Marittime- Fotografia di Luigi Maria Corsanico Nastasi
27 martedì Ago 2013
Posted Poesia
inDi queste cose che chiami
diamanti rilucenti
è una tortura il chiaro
di ogni mattino all’iride
che pulsa come sangue un’avventura
con aria d’anima
non riesce a passare
tra l’immagine e gli occhi :
c’è fitto di non vedo
quello che vorrei
e tutto il mondo immaginato
Oh, non darti pena Dost ! Accade.
La sera tardi e al risveglio
si fa sottile ogni strato della pelle
tanto da restare un velo solo
in quel momento esatto
e soltanto allora
vedo così bene tutto
che le lacrime fanno percepire appena
dove s’arresta il sogno e inizia il tempo
-È bellissimo?- Sì, lo è
All’incerta luce di una torcia
è Dove posso vederti a trovare le parole
guardarmi il viso immerso per capire
nel ventre della terra la carezza breve
che avvolge con dolcezza che dilata il desiderio.
Amato fratello che leggi la Rayuela,
che puoi saltare con la voglia identica
di volare tra gli occhi – disuguali amanti –
è latte materno il cuore degli uccelli, sai?
Un focolare acceso che tende un filo al cielo
sul quale camminare
una trama d’armonia con lo sguardo bianco,
di per sé incolmabile, superando se stessa,
che si separa in bimbi piccolissimi, e vicini
-non ci sono appigli nessun appoggio
per i nostri piedi
a vedere dritta la Natura –
fin dentro il corpo
-Mancarsi
al punto opposto dentro la Campana stessa
“Qual è il suono di una mano sola?”
02 venerdì Ago 2013
Posted Poesia
inAccade che suoni lontanissimi
rimbalzino davanti tra le cose
una tempesta eterna dell’anima
-una delle meno conosciute-
serra di leggende di miraggi, ma
se gratti la terra dell’oasi se raschi la pelle
per tenere l’emorragia se appena cuci i lembi
coi tendini dei salmi sotto più a fondo le ossa
sono ancora viventi le colate di ghiaccio
hanno trine negli occhi e boschi di pioppi bianchi
tra le gambe azzurre laghetti di balene
minuscoli pastori Noi viandanti
umidi pascoli tra le mani
cespugli spinosi per corona
sotto i piedi del mondo nel punto più a sud
dell’anima c’è un Luogo senza memoria,
una pelle che fa ruotare lo sguardo
dai gesti miti, un linguaggio sottile di tenerezza, là
dove si conduce il fuoco nella canoa
al nuovo capanno, per la festa dei fiori
di lana cantando l’amore delle balene,
quando il rombo del fiume diventa assordante
e le stelle tinte dal nero del Silbaco
l’uccello canterà più forte ay ay mama… ay ay mama
facendo sorgere l’albero nell’orecchio
le radici nella mente
la chioma nel cielo intatto dell’anima
Io posso solo danzare portandoti un fiore spontaneo
per ritrovare l’Ombra dell’Uirapuru
tu puoi sentire avverarsi un desiderio
caduto per sopravvivere un sogno?
Sono una donna libera. Nel mio blog farete un viaggio lungo e profondo nei pensieri della mente del cuore e dell anima.
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