Credo in te, che sei nella mia pancia,
come un Kogi nei picchi della neve,
e a mio figlio, che è lassù. Nell’altra terra
piangevo alla partenza degli storni,
mentre ora seguo il fiume del tuo nome,
un luogo in più che porta alla radura
dei cespugli, così tanto verdemare
da apparire delle anime che tornano
ciascun ramo, un’ala delicata
delle gole trasparenti che respirano.
L’avremmo detto un giorno, sottovoce,
al felice movimento fra i capelli,
dell’istinto del volo e della veglia,
in quale organo si fosse riposato
il sentimento che ora ci solleva
producendo l’aria buona che sa il nibbio-
con la stessa commozione di chi guarda
i bambini quando mutano in uccelli.