Amo cosa vedono i suoi occhi
nel celeste profondo del dolore
quando il corpo si scambia in racconto.
Con la schiena incurvata nel lavacro
girava le sementi con un braccio
e una mano posata a trattenere
i seni ancora gonfi per il latte.
Nel più semplice disegno di unità
presi parte al suo corpo silenzioso.
Cominciava dalle orecchie nostrastoria,
premendo con il verso non formato
sull’esile membrana la carezza,
con il tratto di chi alza una spirale
per fissare l’assoluta nella pioggia.
A memoria nasce intatta la visone-
non il semplice contorno di una forma-
la corrente che la muove la prolunga
nel chicco d’orogiada che germoglia
sul polso chiaro e nullo di un bambino
penetrando le sue dita con le rose.
È da lì che passa l’inatteso,
l’invisibile mistero della gioia,
dove l’ora ha nascosto le vigilie
con le mani sempre tese sulla piaga
luminosa dello sguardo dirimpetto;
una lingua talmente sommessa
da non distinguere il suono
fra il suo benedetto e il mio grazie.
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