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Tenemmo fermo il petto alle ginocchia,
per scambiare l’appena immaginabile
che prepara la prima glossolalia,
ricostruendo immagini per gradi
per luogo di ferite e di servizio,
nel viaggio più notturno. Nella gola

mutammo il nostro carcere in un germe,
in un agnello liquido e fecondo,
ricettacolo, infine, benedetto
nostro compassionevole gemello.

Per pudore, con un fremito, tacemmo
che nel verde del sinoplo vive il rosso
dell’uccella nascosta dentro il seme.

( Se ci passi sopra gli occhichiari
puoi sentire ancora le incisioni della selce, trasmesse dal respiro,
sulla roccia amante dei licheni.)

Fu allora che spruzzammo,
_ con la bocca

come piccoli strumenti per il fiato
che s’accordano l’un l’altro da principio
al suono antecedente
l’avverbiale.