Un’orchidea danzatrice arlecchina,
una camelia rossa,
l’azzurro del gelsomino
da un lato,
dall’altro la vite di giada
con l’udumbara fiorito.

Cinque ninive alle sue braccia
intrise col pane di tante notti :
il piccolo salterio avuto in dono
e un rametto levigato di sambuco.

Le sue mani ora vivono in penombra
le ossa cave riscaldano il midollo;
ma ricorda l’acquabuona e il largo d’aria della tua impercettibile preghiera –
di quando ti calavi nel cobalto
legando i fiori piccoli alla luce,
e alla cime un’urna tiepida di pigne –

colmando il vuoto,
così nitido fra noi,
la volontà di amare indivisibile.

 

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