Quando il melo offrirà la sua luce
capirai come un albero solo
sia il credo di un solo universo.
Allora non morirò mai più,
dicevamo, negli alberi cavi
posando lentamente il nostro nido
sullo stabat, in cima all’Appennino.
Fatalità del ventre, colpo d’ala
una notte d’occhi grandi in cui vedere il cuore,
nel mistero d’impartirsi, leggerissimo,
buttando fuori l’aria dalle ossa.
Più di un’impronta fu tutto il respiro,
tintura, che si acquieta fino al bianco,
nelle mani, fino a renderle radici
e marenostrum – La natura
non fa nulla bruscamente,
dove credi un salto è l’ignoranza –
Se ti fermi la vita pare oscilli ancora incerta
sulla propria volontà di pesce o uccella;
guarda come resta a sangue caldo
la più mite tribù dei lamantini
o quanto manca al respiro di un pinguino
per essere il perfetto di ogni pesce.
E casa nostra? Dov’è il muscolo possente
che unisce con il petto la sua spalla?
La forza rilegata del vestito d’erbe
è il nostro corpo? Tutto un petto che comprime.
Siamo noi quella pressione con il seno
e col respiro. Per un uovo!
Per un uovo.
Meravigliosa noce, mandorla di luce
l’interno della piccola bambina
è così grande,
nell’ultima e più intima spirale lei ci chiama
e la goccia di magenta è un mare rosso
tra lo spazio che viviamo e il mondo accanto
per volare all’ederlezi dei bambini.