Sei venuto con lacrime e sole,
così come fa un grande fiume.
Dai pozzi stellari al più buio
impasto materno d’argilla
le tue mani producono fiori,
i tuoi palmi dei germi turchini,
l’ingenua sostanza che mostra
la qibla assoluta del cuore-
un piccolo luogo,
non angusto, ma stretto,
fra la vista e la soglia del labbro-
se, raccolta, nel tiepidario,
nel polverio della luce, mi hai detto,
ha casa il destino del riso.
Dal segno scolpito tra gli alberi
e il lungo diwan luminoso,
muoio a ogni istante, cadendo –
come solo un’acqua sa fare,
gravida e insieme svuotata –
nella nostra carne infantile,
nell’impasto che gonfia i tuoi semi
se riluce del benedetto
corpo antico, fra le consonanti,
di un’acqua che sogna negli occhi-
sacra pozza, l’inesplorata,
che un Dio ha messo al principio
della nostra isolastella.