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Apparteniamo al linguaggio e non viceversa, ripeti .
Ma dove affonda dove puoi toccarlo?Il fondo, l’etimo? la radice dov’è?
Nel latino e indietro. E poi e poi ?- Nel suono, amore, nel suono, e oltre il suono nel silenzio,
da cui emerge, dal buio, non altro, la chiarezza del suo dire è dall’oscuro colloquio interminabile,
parola per parola, un indice continuo nell’abisso, così la conclusione
è un eterno futuro sulla soglia, tra il pozzo senza fondo del passato
e quella vita che l’attende, la poesia.
La sua parola sarà sempre un ancora differito?
Se l’ origine è il silenzio e nel silenzio il colloquio che verrà,
fra questi due silenzi mi manca da morire eppure scava
nell’abisso il suo sapore in modo chiaro e inestinguibile questa nostalgia.
Oh fosse l’albera a dirti il suo nome o questo fiore
le prime vertebre che chiamiamo sacre o il cervelletto, albero di vita,
se fossero i talami degli occhi le celle nuziali che più amo a dirti…
In un film si riunivano degli uomini a una gara, vinceva chi riusciva a fare cantare la montagna.
Così parlava la ferita ai i piedi, in Eva? L’anca di Giacobbe il fegato di Prometeo?
Muore un bambino membro di un gruppo malato e muore un membro di un corpo che occorre tagliare.
La scorza si manifesta e la polpa conduce al nocciolo, murmure muto mistero- materia mano matrice.
Cantando all’indietro, da pollicino allo scarpino di vaio di cenerentola
dal tallone nelle mani di Giacobbe a chi lavava i piedi degli apostoli
a poco a poco hai cancellato la distanza dalla lingua della cerva e dal suo fianco
fino al giorno delle messi e del raccolto, l’altra sera.
La lamentazione del tuo corpo, la fronte che hai toccato facendo il segno della croce
la colonna vertebrale, nell’eterna generazione di suo figlio,
le corna che dispiegavano i polmoni e il nuovo nato fra le zampe, luminoso.

Dell’armonia di questa confusione non so altro, non posso rendere conto della voce,
se non con il dolore di un bambino che ti indica che cosa gli è rimasto fra le mani
del seme che lampeggia, verso il cielo. Della gioia
so disegnare un mandala soltanto un labirinto
chinandomi così sul mio tracciato
( riderai, lo so, perché tutto ciò che è carne, come parola che unisce i corpi insieme,
ci viene presentata peccato dei peccati che separa l’anima dal vicolo fangoso della pelle
< Né so> ripetevo – che in bambara vuole dire < da me, casa >
< Feifei > alla mandorla di luce che in cinese fa < volare>
So che mi hanno ricondotto nella yurta, con le ossa cave dentro un’unica parola.