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Un indugio il colore delle sillabe,
l’accento è un ritardo, e il culmine,
nell’andamento claudicante del respiro;
non è la cima dei monti all’orizzonte,
o la profondità delle foreste,
sono le pagine di un erbario remotissimo,
dove ti metti con la lingua, per tacere.
Eppure un suono vibra, flebilmente,
mentre porto l’acqua nel torrente in secca,
se raccolgo i panni, quando taglio legna,
io ti sento, nel silenzio, che disponi
i tuoi rami con i fiori, al centro del mondo.
Nessun grande cielo a luccicare
sulle colline di sasso,
solo un andare tra fango e terriccio,
da un sorgente a quell’altra-
un ciuffo d’erba grigia, scie di nebbia
che sfumano i contorni del mio semplice vestire,
rendendo radioso l’odore delle pigne che hai bagnato –
le cose si conoscono tra loro si frequentano
il fontanile del tuo sentiero, la cerva da un solo fianco
mostrando cosa appariva come un velo –
Il te bollente
Mentre sorge la luna
intiepidisce
Non il suo riflesso
quando sfiora le labbra
Tanto da tacere già dentro la parola
fra le maglie che si aprono per fremiti
riassorbite sulla pelle, così chiara
da non potersi trattenere in un pensiero-
un semplice barlume lascia il posto al suo riflesso,
e nel miracolo salato il cavo d’onda
diviene un nuovo pieno- Madremia,
ho rispettato il giuramento da soli cinque giorni,
sul focolare il minimo colpo farebbe cadere
i ceppi, e le braci
conserverebbero ancora la forma
che ti ho promesso, cadendo,
e in più la luce. Domani sei nata
e il tormento si placa di colpo,
come sotto il tiglio, quando ci respirava
e si accostava a noi, per un lungo momento,
aiutando i nostri fiori a schiudersi,
indicando il sentiero possibile dei caprioli,
il rifugio, la dimora dei girasoli
per la raccolta dei semi. La speranza.
Non è certo la morte ora a impedirci di credere
all’eternità di ogni minima cosa,
al suo nome – io credo- a ogni luogo
dai mesi bellissimi, ai bambini
qua e là, donne e fiumesse
che si scambiano ricordi
di albere e poesie improvvisate,
con lacrime raccolte nel tutto della gioia,
ad ogni tornante delle nostre braccia-
Da ogni fiore
la promessa del frutto
L’ultima brina
Lo spostamento immenso del freddo
è questa onda che s’inarca da cinque anni
fino al semplice tratto di schiuma,
in migliaia di vite, stanotte, la nostra lingua,
la veduta di alberate ed un vapore
annidato nella foschia che si disperde.
Se oggi dico “ mi ami” e rispondi “ anche tu” ,
sbucano i verbi come la vita stessa
se ripeto saltimbraccio, per amarti più veloce,
magento, nel sorriso del tuo nome,
senza aggiungere altro, Silvana.
Il te scaldato
e il fuoco tutta notte
Quante le veglie
Tengo in me le ceneri
e il ricordo del freddo.