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Volevo compensare la paura del neonato
spiegando il grido che fa tremare l’aria
quando esce dalla notte, nella luce
i piccoli polmoni, le sue ossa.

Non senti che sei l’uomo nella donna,
il riso di una madre al suo bambino?
Nella pena del travaglio l’agonia non è miseria,
ma l’odore che fa un giovane terriccio
appena nato dalle foglie morte-
l’invito all’alito sincero viene su come un tesoro-
nello strazio che si apre e perde sangue
nel parto di tuo figlio. Non fermarti,
non fermarti che per continuare il balbettio
per ricomporre ogni frammento delle foglie
che hanno brillato prima di finire.
Al punto di incontro delle fonti,ai nostri piedi,

la sorgente è un albero nel suo disfarsi,
e il cuore, del gigante che si spezza, un’acqua pura,
il lavoro di una vita nel suo andare
a quell’aurora che noi chiamiamo fissa.

Con la semplice preghiera di un papavero-
che malgrado il forte vento lo scompigli,
mantiene nei frammenti dei suoi petali
il rosso intenso che la pioggia non attenua,
-raccolgo le mie cose nel silenzio
e zoppicando, verso l’alveare,ti ripeto :
c’è un liquido vermiglio che per sempre
alzerà il velo ai nostri occhi;

siamo un campo rifiorito di lavanda
che a forza di morire per l’essenza
si veste fino a perdersi in un blu
del tutto senza peso, fra i colori,
e attraverso i suoi vuoti, con la luce,
si unisce alla terra più leggero,
come solo una porpora sa fare
quando si distende su ogni petalo.

Così mi corico al fianco di ogni sera
dopo avere ripetuto il girotondo
con le stesse parole, ed il tuo nome,
per cadere sopra il campo, dove ride
l’invisibile colore, in mezzo a noi