Sono una partoriente colma di affanni
e un cervo
che sbuca fuori dal bosco,
trasparente,
che si rannicchia nella mano e muore
nel tuo cuore

si aprirà quella magia così che il vento,
dove s’innalza santissimo il reale,
canti,
rompendo le acque al tuo sguardo,
dove incontrarsi, correndo
all’alba di pasqua.

-Nella casa chiusa come un grembo
c’è una chiarezza ulteriore, che viene,
che ci riporta indietro confondenti
l’energia di un altrove,
l’umido spessore di una vita
che nasce sognata. – Perciò,
giravo intorno al pozzo senza posa,
nascondendomi nei cerchi come al tempio,
finchè il sentiero ripetuto sotto i piedi
esplodesse nella strada non percorsa
dove il grido perfetto di ogni stella
ha la stessa posizione delle braccia
a farsi largo tra gli indugi delle mani.

Per un nonnulla è ancora vita
il tremore di un miracolo,
ha la stessa grazia
del tuo sangue nelle vene,
ogni volta che sorrido
in pace col silenzio

ti ricordi? Il vuoto del linguaggio
è la ricchezza nostra.
Non è mai tutto qui
incolmabile. Quanto vorrei,
scrutando fin là,
lasciarti una traccia
poi subito svanire

Come una sposa che sogna
io ti parlo. Questa è la mia vita
e tutto si fonde con qualcosa
qualcuno che è entrato e continua a restare
dentro. Nello squilibrio cieco, nel mio campo libero
c’è l’inizio di un volo o un discendere improvviso
con un canto, a volte un lamento, o un alleluia,
ma l’amore è chiaro di continuo,
prima di venire alla luce. Rimango ancora un poco
nel bosco dove il tempo si contrae
e si dilata, distribuendo tane, dei ripari.

Io sto bene. So piangere di gioia
nello stesso punto, violenta e sensuale,
dove l’acqua scava sulla pietra, la sua lama
affonda nelle viscere
aprendo senza fine
lampi di felicità

metti il dito dentro il solco quando vuoi
scoprendo dove stilla questo amore
come tace dove va, seguendo il cervo,
nel vivo della carne,
trasparente
quando si rannicchia nella mano
e muore ancora
nel tuo cuore

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