La risacca vi ha restituito solo
qualche frammento colmo di colore:
frammenti dei fratelli, sposi dell’estate
allevata in sé come regina
del mattino
quando al sommo si aprì una fessura
dilagando nel sogno e spalancata
la carnale tentazione di cadere,
dilatò nelle pieghe delle vesti
la coscienza scura
Fu la notte in cui vi cadde il cielo
nella soffice buca sulla terra
Neppure l’erba alta vi ha nascosti
nelle veglie più domestiche
quando avete smesso di mangiare con la luce
foderato le finestre a carta nera
eravate l’uno stretto all’altro nel silenzio
e con un fremito lieve alle radici
tra il bianco e il candido
salivate alla gola coi nomi degli odori
frusciando nel buio della stanza quasi ciechi
come dopo un acquazzone nella foresta fitta
imparando a riconoscere la scimmia
dalle foglie con la tigre contro gli alberi
ed un nome Condiviso
con l’alito di vento vi ha salvato,
più che la vista, la fragranza del celeste
Ed ora, con le mani sporche di pittura
appoggiate alla spalliera di una sedia
tra la tenerezza e la paura
è come se da un momento all’altro voi
poteste respirare con l’odore al seno
a prender forma di mammiferi ancestrali
accendendo quella lampada sul viso
con la forza della nostalgia
dipingendo tra sussurri le radici
coi frammenti dei fratelli per tornare
a quel che non c’è più, salvando i piedi,
nell’odore celeste e grato di un giardino
piantato ancora dentro, prima della Storia:
è qui che sporge un’erba, è qui che canta.