nella piu leggera delle città
senza nome
lungo le rive del Tigri, nel Diarbek
china sulle piantine di mussola
una donna incideva le ninive
–fragilissime preghiere d’acqua –
filtrate una a una con le garze
fasciate come bimbi
nascosti al sole, dalle zanzare.
Ninive da portare nella gola
su un camion di stoffe per l’Europa
Per rispondere al Cielo tratteneva sangue
con alimenti e aria, sul limite del solco,
dal dolore che tutto bagna nelle mani
e il volto nella parte neutra
dove si alza lo sguardo – dove vacilla–
passandoci accanto un movimento
dolce e segreto, di un angelo sottile
che prende il nostro affanno, in aria
con passo uguale e lento
camminando fino a sparire
al Nulla – come le hai chiesto Tu-
in una lingua che non potrà nessuno.
Tornerà dagli occhi -la sua esistenza-
[ con Altri occhi ] pieni di lacrime
nella parola dell’Inizio; di un’Altra specie
la ricevi nel tuo viso che già vive
sorella
fiorendo da ogni vena– tacendo il grido-
tra le mani calde di ninive
la devozione nel grande Suono
dell’Indicibile che ci dimora.