Un solo giorno ancora da colmare
sostiene l’Anno sull’orlo della vista
Più del Nome chiama ciò che resta,
l’aprirsi senza fine- nascosto nella stanza
lucida di male e creme d’avene-
delle garze d’acqua
che ti porgevo sulle labbra
le hai scambiate col bicchiere
aprendo le mani nude
le alzavi fino al viso
afferrando l’aria
come a portare un peso
dal deserto della gola
all’invisibile di luce
non so fin dove
perché avevi degli angeli alle labbra
la grazia nel tenere niente
il mistero delle egrette sacre
a bere Nulla
riempio la sera, ancora,
come una pita
la ciotola di latte grigia
e suono intorno
un lamento bianco
circolare
nello sguardo ebbro
di sentire
quel vuoto lieve
tra le mani
che resta dell’assenza
come spazio
del suo Essere sublime